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Resistenza – aprile e i giorni del ricordo

12 aprile, 2013 - 11:18

In aprile sono diverse le commemorazioni, gli incontri, gli articoli dedicati al ricordo della guerra Civile italiana. Da poco ad Assemblea Teatro abbiamo ricevuto, nei nostri viaggi in Langa per portare spettacolo, due libri che narrano di resistenza, e un articolo mi ha fatto pensare che sia bene inserirli tra i nostri consigli.

Il 4 aprile Massimo Novelli su La Repubblica di Torino scrive un articolo dal titolo NON SIAMO PIU’ DEGNI DI RICORDARE I PARTIGIANI, frase rubata ad un discorso di Massimo Ottolenghi, Avvocato di Giustizia e Libertà, ragazzo della Resistenza. Discorso shock, o semplicemente la volontà di un lucidissimo centenario di tenere alta la guardia su di un paese i cui cittadini continuano ad essere sudditi degli uomini della provvidenza, dei ciarlatani, degli imbonitori?
Le commemorazioni infatti hanno un significato se poi quei valori e quei ricordi divengono base quotidiana del nostro sentire e agire comune. Massimo Ottolenghi alla commemorazione del Pian del Lot ( 2 aprile ’44, 27 partigiani trucidati dai nazifascisti) voleva pungolare la propria, e le successive, generazioni.
Cesare Mozzone e Gino Risso sono due professionisti della Langa, uno, il primo, lavora in una casa editrice, l’altro, Gino, si occupa di cucina con il suo ristorante. Non fanno il mestiere dello scrittore, questo è il loro primo libro. Però entrambi hanno aperto i cassetti di casa e hanno riscoperto una storia. Per entrambi, poi, il pensiero che un sacrificio potesse essere esempio e l’affezione al proprio, piccolo, paese,hanno fatto il resto. La resistenza tra Magliano Alfieri e le colline di Costigliole, i ragazzi, con nome, cognome e soprannome, le leggende (come quella di Lulù), le azioni “eroiche”, necessarie in tempo di guerra, e poi si ritorna al paese a fare il macellaio (il caso di Mario Mozzone) o si lotta per continuare a ricordare il figliolo ucciso in un’imboscata (Luisin, il padre del partigiano Corrado Bianco). Queste pagine non offrono uno stile alto o giochi linguistici, ma nascondono un’esigenza morale, quella di raccontare la storia di ragazzi che hanno combattuto e sono morti per la libertà di tutti, quella necessità di “ricordare” che Ottolenghi rilancia con forza.

Queste vicende, sino ad ora storia tramandata attraverso la parola – come scrive nella sua prefazione Laurana Lajolo – oggi perdono i loro testimoni diretti e possono vivere solo attraverso l’impegno di una seconda generazione che le ha ascoltate e le vuole perpetuare.
Non possiamo che essere grati a chi compra queste scritture che continuano l’insegnamento di regole e modi del vivere che sapevano mettere sempre al primo posto il lavoro, la comunità, il rispetto (temi cari alla Nostra carta Costituzionale), perché continuino ad essere tramandati, generazione dopo generazione.

Alberto Dellacroce

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