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“Più di mille giovedì” all’Università

17 dicembre, 2020 - 18:46

APPROFONDIMENTI

“I fuggitivi”, l’inchiesta di Repubblica

pubblicata il 10 gennaio 2021

 FUGGITIVI

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Ecco un esempio del perché oggi ci manca il teatro.

Per il tanto bene che può fare.

Presentare uno spettacolo come lezione all’Università ha offerto un ascolto più ampio, favorendo un raggio di visuale più motivato ai molti studenti partecipanti.

È accaduto nonostante la lezione fosse obbligatoriamente in remoto, ma il teatro, tramite l’emozione, è riuscito a superare e rompere le barriere del web.

Certo, lo scorso anno in sala con altri studenti l’impatto e l’empatia sono stati ancora più forti (e torneranno ad esserlo), ma dai commenti qui raccolti si coglie quello che Assemblea Teatro, col suo lavoro, sostiene da tempo.

La forza della memoria serve all’oggi e in questo nostro presente continua ad offrire pensiero, e questo accade proprio in giorni in cui ci pare di averne smarrita la capacità.

Gli appunti e le note che seguono, scritte da molti dei partecipanti all’evento, ci confermano nell’utilità del nostro lavoro, come altre volte al fianco del percorso dei docenti.

Scrutiamo il passato non per nostalgia passatista, ma perché questo sforzo di memoria sia utile a meglio dominare il presente, giacché il ricordo tesse un legame tra ieri ed oggi. Niente di più semplice. Questi vostri scritti, che volentieri pubblichiamo, confermano che il tempo con voi è stato nient’altro che questo: un utile e positivo aggancio tra due generazioni.

Grazie

Renzo Sicco

più di mille giovedì (1)

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Il 9 dicembre 2020, durante il corso di Storia contemporanea del Dipartimento di Lingue e Letterature Straniere e Culture Moderne, svolto dal prof. Marco Novarino, è stata proiettata la rappresentazione teatrale “Più di mille giovedì”.

La scheda dello spettacolo

“A me piaceva ballare e sognare. Amavo mio marito, adoravo mia figlia. Amavo molto anche questo Paese”.

Con queste parole, dentro una stanza di una casa qualunque, Gisella Bein apre lo spettacolo forse più intenso della sua carriera di attrice. Impersonare una delle Madri di Plaza de Mayo non è facile: troppo crudele è il dramma di queste donne a cui sono stati strappati figli che non sono mai più riapparsi, che non hanno lasciato traccia, un segno, un corpo, una tomba su cui piangere. E troppo vivo è quel dramma che coinvolge non solo quelle donne, non solo un Paese, ma la coscienza del mondo civile, che non può fingere che si tratti di una storia di ordinaria follia. Troppe sono le implicazioni che inchiodano Istituzioni, Governi, la stessa Chiesa Cattolica, alle loro responsabilità. Tutto questo e molto altro è “Più di mille giovedì”. E tutto questo e molto altro è il materiale che si è dovuto utilizzare nel mettere in scena questo lavoro, accompagnati dalla consapevolezza del fatto che la storia delle Madres de Plaza de Mayo è una ferita tuttora aperta. Sulla base di questa convinzione e sostenuti da un testo coraggioso e poetico, è stato realizzato uno spettacolo di grande impatto emotivo.

La vicenda è quella di una Madre, ma è emblematica del dramma che tutte le donne di Plaza de Mayo hanno deciso di condividere, perché ciascuna di esse è madre di tutti i desaparecidos, in una commovente coralità che è stata la loro forza negli anni bui della dittatura.

Lo spettacolo, che ha debuttato nel luglio 2000, è stata la prima opera teatrale rappresentata presso la Camera dei Deputati in Italia. Successivamente è stato rappresentato in Cile, nel Museo della Memoria di Villa Grimaldi, e in altri ex centri clandestini di detenzione a Cordoba, Rosario e La Plata in Argentina e per due volte in Plaza de Mayo e nella stessa ESMA a Buenos Aires.

Accade alle volte che il Teatro sappia confrontarsi con la Storia.

Con questa proiezione si è voluto anche ricordare il 10 dicembre 1948, data della proclamazione da parte dell’Assemblea generale delle Nazioni Unite della Dichiarazione universale dei diritti umani, e il rapimento e la successiva esecuzione, avvenuta l’8 dicembre 1977 di Azucena Villaflor, fondatrice delle Madres de Plaza de Mayo, di altre due madri fondatrici, due suore francesi e sette attivisti che si occupavano di difesa dei diritti umani. I corpi di alcuni di questi “desaparecidos” vennero ritrovati giorni dopo, trascinati dalle onde marine, sulle spiagge di Mar del Plata, vittime dei tristemente noti “vuelos de la muerte”. Hanno partecipato, da remoto, oltre 150 studentesse e studenti, e la proiezione è stata preceduta da un dialogo tra il docente e Renzo Sicco, regista della rappresentazione. In seguito, si è sviluppato un interessante dibattito e nei giorni successivi alcune studentesse e studenti hanno voluto trasmettere, tramite mail, le loro impressioni ed emozioni provate durante la proiezione. Testi che si possono leggere di seguito.

Più di mille giovedì 45

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Noemi

Buonasera, le scrivo per questa meravigliosa opera teatrale. Ho preferito mandare questa mail con poco distacco dalla visione, con il tempo necessario per permettermi di raccogliere i pensieri ma non abbastanza da cominciare a confondere i ricordi.

Innanzitutto, la voglio ringraziare per averci permesso di vedere quest’opera, è stata un’esperienza molto forte e toccante. Il tema che tratta è, di sicuro, tra quelli che una volta sentiti non si possono dimenticare, eppure questo spettacolo me l’ha lasciato più impresso nella mente di quanto avrebbe potuto fare un documentario o un testo scritto.

Quest’opera mi è quasi sembrata viva, si sono sentiti chiaramente tutti i sentimenti coinvolti, dal dolore, alla paura, fino alla rabbia verso quell’incertezza. Personalmente, la mia parte preferita è stato il monologo finale del ragazzo; l’ho trovato così forte, perché è un po’ come tutti immaginiamo gli ultimi istanti prima della fine.

Probabilmente visto dal vivo sarebbe stato un “pugno nello stomaco” ed il vederlo a distanza ha in parte un momento smorzato questo, ma il fatto che sia ancora palpabile la dice lunga sulla potenza di quest’opera.

Ancora grazie per quest’opportunità, perché ho la ferma convinzione che rimarrà impressa nella nostra memoria per molto tempo.

Più di mille giovedì 24

Ilaria (1)

Gentile professore,

con la presente volevo esprimere le mie sensazioni riguardo lo spettacolo teatrale appena visto. È stato davvero toccante e penso che faccia riflettere molto. In particolare, l’attrice Gisella è davvero brava, perché è riuscita a rappresentare la verità ed è questo che rende particolarmente toccante la rappresentazione. Si percepisce appieno il dolore e la frustrazione di queste donne che poi tanto “locas” in fondo non erano. L’unico momento di finzione è immediatamente percepibile, perché più romanzato e cerca di coinvolgere attraverso un turbinio di parole e di emozioni. Gisella, però, è riuscita a coinvolgermi fino in fondo con la sua semplicità di parole e di vestiti. Inoltre, sono rimasta davvero colpita dal fatto che non abbia sorriso alla fine dello spettacolo. Un sorriso alla fine avrebbe spezzato il legame con il pubblico e la verità non sarebbe più stata tale.

Penso che il teatro dal vivo sia ancora più coinvolgente ed emozionante, ma certamente, ora come ora, ho apprezzato davvero moltissimo il fatto di averlo proposto in questa modalità. Spero che al più presto si possa presentare l’occasione per assistere alla rappresentazione dal vivo e, anzi, ne approfitto per chiederle di tenermi in considerazione, se le è possibile, e di mandarmi una mail nel caso ci fosse questa possibilità. Inoltre, se riesce ad organizzare una replica, anche solo online, la prego di contattarmi, in quanto una mia collega non è riuscita a seguire per motivi personali, ma sono sicura che avrebbe davvero apprezzato questo evento.

Personalmente, non conoscevo affatto la storia dei desaparecidos. Certo, non era un termine completamente nuovo per me, ma non avevo idea di cosa ci fosse realmente dietro questa parola. Nella mia famiglia, come in quelle di molti italiani, vi sono dei parenti argentini, ma certi discorsi sono sempre stati tabù ed ora mi chiedo se siano accaduti questi episodi anche ai miei parenti laggiù.

Sicuramente questo spettacolo mi ha donato uno spunto di riflessione e cercherò di approfondire questo tema che mi ha colpito davvero molto. Termino questo mio pensiero, davvero fin troppo prolisso e me ne scuso, ringraziandola ancora per l’organizzazione di questo incontro.

Più di mille giovedì 22

Ilaria (2)

Buonasera, scrivo a Lei e al signor Sicco subito dopo il termine dell’emozionante conferenza svoltasi in data odierna alle ore 18. Ho deciso di scriverVi immediatamente per non lasciare che l’uragano di emozioni nato in me durante questa proiezione impallidisse e venisse soffocato dal consueto ritorno alla routine serale che, come ogni giorno dopo le lezioni, torna ad essere la presenza preponderante che mi occupa corpo e mente.

Inizio col dire che non sono una studentessa “abituale” del Corso di Storia Contemporanea, che frequenterò nel secondo semestre, ma sono stata colpita e mi ha interessata il contenuto dell’email con la quale sono venuta a conoscenza di questo appuntamento. Così ho deciso di partecipare, anche in vista del fatto che quanto avrei appreso avrebbe potuto rappresentare un arricchimento sia in termini accademici, sia sul piano personale che su quello conoscitivo.

Non serve che io mi dilunghi nell’apprezzamento di quanto è stato esposto, in quanto credo che sia stato ampiamente espresso dai miei colleghi durante i loro interventi e dal pubblico stesso durante gli spettacoli dal vivo.

Vorrei invece focalizzarmi su perché, in particolare, proprio io – che mi ero approcciata alla conferenza nel tipico modo incerto che caratterizza chi si introduce da esterno in un gruppo di sconosciuti – stia scrivendo questa mail.

Penso che tutti i temi toccati rientrino, come ogni fatto analogo, nell’insieme di quegli avvenimenti che è un dovere ricordare, per quanto la loro consapevolezza crei quasi un rigetto nella mente comune, che preferisce l’oscurantismo di certe informazioni (e la conseguente leggerezza d’animo). Ma al di là di questi temi, dei quali non intendo in alcun modo sminuire l’importanza, c’è qualcosa che mi ha toccata particolarmente.

In famiglia ho avuto purtroppo modo di vivere da vicino il dolore di una madre (e di un padre) per la perdita di un figlio di pochi anni di vita. Ho sempre trovato, da quando quell’avvenimento ha segnato profondamente me e i miei parenti, che ci siano davvero poca attenzione e poca sensibilità nei confronti di questo tema tanto complicato quanto doloroso. L’ho visto affrontato con frivolezza, sminuito con innocenza e semplificato con sufficienza da chi non poteva capire lo strazio che nasce da un dolore di questo genere.

Le persone, mediamente, non capiscono, e forse non vogliono capire, per proteggersi anche solo dall’idea che una sofferenza simile esista e che dunque le renda vulnerabili a sé stessa. Il classico ideale del “tanto a me non capiterà mai, non mi riguarda” è come un atto di autodifesa per gli altri, ma si riflette in un’emarginazione per chi è la vittima diretta di certi orribili avvenimenti. Dar voce a questo dolore, non far finta che non esista e permettere alle persone di comprenderlo è di estrema importanza per chi lo prova e per chi gli è vicino.

Per questo per me è stato così importante vedere finalmente qualcuno dare voce a questo sentimento, alle sue sfaccettature e alle sue sfumature, al prima, al durante e al dopo della perdita, e al rifiuto della rassegnazione alla stessa. Mi ha colpita in tal senso la storia dello specchio, che rappresenta la volontà della madre di continuare a vivere con dignità anche per il figlio scomparso, che mai vorrebbe vedere la sua mamma risucchiata e persa nel dolore della sua perdita.

In questo senso, dunque, Vi ringrazio. In una società dove il dolore, le sparizioni e la morte sembrano dei tabù quando vanno al di là del mero pettegolezzo, diventa un vero faro di speranza chiunque decida di parlarne nel modo più vero e crudo, senza idealizzarli o elevarli a qualcosa di inintelligibile e lontano. Noi siamo esseri umani, e in quanto tali, soffriamo. Negarlo significa rinnegare noi stessi.

La comunicazione è uno degli elementi che rendono l’uomo un essere unico, capace di realizzare incredibili imprese e di commettere terribili atrocità. Portare in alto la comunicazione è, per me, uno degli atti più significativi che si possano compiere, non solo per sé stessi ma anche per tutti gli altri. Ed è questo uno dei motivi per cui mi trovo a studiare nel Dipartimento di Lingue e Letterature Straniere e Culture Moderne.

Pertanto, grazie di aver condiviso il dolore di tante donne – e di tanti uomini – che, purtroppo, ovunque nel mondo condividono un simile fardello sisifeo senza la possibilità di sentirsi compresi e ascoltati.

Grazie ancora per l’intervento e per avermi permesso questo piccolo (ma forse non troppo) sfogo personale.

Auguro un buon lavoro a tutti.

Più di mille giovedì 47

Eleonora

Buonasera professore, sono ******, studentessa del corso di laurea lingue e culture per il turismo. Innanzitutto vorrei ringraziare lei e il Sig. Renzo per l’opportunità di assistere ad uno spettacolo così sincero ed immediato, ma anche per avermi permesso di godere di nuovo delle bellezze del teatro anche da camera mia.

Mi ha molto affascinato la storia dei Desaparecidos, principalmente perché prima delle sue lezioni non ne avevo sentito parlare in maniera così approfondita. Trovo che lo spettacolo esemplifichi tutto il dolore umano di fronte ad una tragedia come la scomparsa di un figlio. Personalmente trovo che las Madres de Plaza de Mayo siano di una forza d’animo e di un coraggio davvero degno di lode. I loro figli e la loro storia merita di essere raccontata e ricordata da tutti, affinché cose del genere non accadano più.

La storia raccontata attraverso l’interpretazione dell’attrice è davvero speciale, piena di pathos e merita di essere diffusa il più possibile.

Pochi giorni prima del lockdown ho fatto un meraviglioso viaggio in Polonia, dove ho potuto visitare il campo di concentramento di Auschwitz-Birkenau e devo dire che questo spettacolo mi ha riportato alla mente delle scene molto forti, sensazioni che ho provato anche visitando il campo. Ovviamente sono due cose molto diverse, ma per certi aspetti trovo che si assomiglino anche: l’angoscia di non sapere che fine hanno fatto i propri cari, la repressione violenta e la volontà di far sparire nel nulla tutto ciò che fa parte della persona in quanto essere umano.

Credo fermamente che il lavoro svolto dal regista e da lei, in quanto storico, sia più che mai fondamentale perché purtroppo la mia generazione molto spesso dimentica gli orrori del passato (basti pensare a tutti gli episodi di razzismo e di antisemitismo che si svolgono quotidianamente), ma soprattutto si tende ad ignorare anche quello che ci accade intorno. Un esempio è quello dei campi di concentramento (di “rieducazione” per i musulmani e per gli omosessuali) che tutt’oggi esistono in diverse parti del mondo.

Come studentessa, ma soprattutto come cittadina, capisco l’importanza delle testimonianze e dell’atto di ricordare, perciò ringrazio nuovamente entrambi per il bel insegnamento che ci è stato concesso.

Più di mille giovedì 44

Clara

Gentile professore,

la ringrazio per l’incontro di oggi.

Lo spettacolo di Renzo Sicco è stato davvero commovente.

Gisella Bein è stata impeccabile, dotata di una voce travolgente, capace di trasportare in una tempesta di emozioni. È stato impossibile riuscire a trattenere le lacrime.

Non ho domande da fare, o meglio, l’unica domanda che mi sorge spontanea è retorica e riguarda il modo in cui le persone riescono ad accettare e commettere violenze, senza provare empatia per chi sta già soffrendo (in particolar modo, nel caso di Alfredo Astiz, mi ha fatto arrabbiare). La riflessione sarebbe più lunga, ma mi vedo “costretta” a sintetizzare così.

La ringrazio ulteriormente per la sua disponibilità.

Più di mille giovedì 57

Letizia

Gentile professore,

La ringrazio di nuovo per l’opportunità che, nonostante questa situazione molto particolare, è riuscito a organizzare e a darci. La ringrazio davvero molto.

A caldo, volevo condividere ciò che lo spettacolo mi ha fatto provare. Le chiederei, cortesemente, di far avere questo messaggio anche al regista. Ci terrei davvero molto che lo leggesse.

Prima di partire, vorrei scusarmi: sono una persona particolarmente emotiva e quando una cosa mi colpisce, tanto, proprio come ha fatto lo spettacolo questa sera, a volte faccio fatica a riordinare le idee, anche se lascio passare dei giorni. Spero quindi che ciò che vorrei dire arrivi, e mi scuso in anticipo se per caso il testo potesse risultare un po’ sconnesso nelle sue parti. Proverò a dare al tutto la forma migliore possibile.

Per prima cosa, vorrei davvero ringraziare entrambi, professore e regista, per questa opportunità. Sono davvero grata a entrambi per l’esperienza, e uso proprio questa parola perché, per mio modo di essere e di fare, so che non potrebbe essercene una migliore per trasmettere quello che sto provando. Sono piena di gratitudine, perché anche oggi ho imparato un po’ di più e ho scoperto un po’ di più il mondo in cui vivo.

Più vado avanti nel mio percorso di studi e più mi rendo conto di quanto continuare a imparare, sentirsi e vedersi sempre come studenti che non potranno mai smettere di continuare a imparare, perché la vita è anche, e soprattutto, mi sento di dire, questo. Di quanto porsi in ascolto, lasciare che gli altri esseri umani ci insegnino, aiuti a crescere, a relazionarsi con il mondo e con le persone attorno. O per lo meno, questo vale per me, per la mia esperienza, preferisco specificarlo: altre persone potrebbero vederla in modo diverso e, anche se non condivido, comprendo comunque. Perché, grazie al cielo, siamo tutti diversi.

Eppure, allo stesso tempo siamo tutti fatti della stessa carne. Siamo tutti quanti esseri umani.

E più provo a comprendere un po’ di più il mondo, più mi rendo conto che siamo tutti sulla stessa barca, che tutto il mondo è paese, nel bene e nel male.

Lo spettacolo di oggi me lo ha ricordato, ha provato questa mia certezza per l’ennesima volta: l’uomo ha in sé tanto, un potenziale inestimabile e immenso che, se ci si pensa con un po’ più attenzione, è potenzialmente infinito, con infinite possibilità ed esiti per il futuro. E l’uomo ha la scelta di farlo in modo positivo, e in modo negativo.

Vorrei dire che la storia ce lo ha insegnato, ma non me la sento di usare un termine tanto grande e pregno di un significato per un qualcosa che, almeno per come la vedo io adesso – con ventitré anni alle spalle che non sono molti, anzi, forse troppo pochi per pretendere di capire tutto, ma forse un po’ sufficienti per comprendere qualcosa, seppur piccolo –, ancora non è accaduto.

Preferisco dire, almeno per ora, che la storia lo mostra, e lo mostra bene.

Tutti abbiamo bene e male dentro. E se la vicenda dolorosa, straziante dei desaparecidos è sfortunatamente uno dei tanti esempi di quanto l’uomo possa essere nocivo per se stesso e gli altri, c’è l’altra faccia della medaglia. Quella delle vite rimaste, delle madri, delle nonne, che sono rimaste. Che hanno cercato di far sentire la propria voce oltre ciò che di mostruoso stava accadendo. E che per me è un monito immenso, per cui di nuovo mi sento immensamente grata.

Perché mi ricorda che ho le possibilità di fare meglio, di essere un essere umano migliore per costruire un futuro migliore.

Sia per il mio essere una persona che per il mio essere donna.

E forse è anche questa parte di me che forse ha fatto sì che sentissi tutto, come dico spesso, fin dentro le ossa, come una storia che per sua natura si cuce addosso e resta, sulla pelle, sul cuore. E fa riflettere, almeno per quanto mi riguarda.

Perché non so come pensa un uomo. Quindi non so cosa, di preciso, i padri di tutte quelle persone scomparse abbiano provato. Posso solo immaginarlo, perché siamo tutti esseri umani e perché le emozioni, credo, funzionano nello stesso modo – lo dico da profana, da persona ignorante dal punto di vista accademico.

Ma da donna, da persona che potenzialmente potrebbe diventare madre, ho sentito. Tutto. Non nello stesso modo di quelle madri che hanno vissuto una disgrazia simile sulla propria pelle. Ma posso comprendere. Perché lo vedo nelle madri che conosco, nelle madri che fanno parte della mia famiglia. Ed è tutto un insieme che lascia senza respiro, senza parole, senza forze.

Credo che lo spettacolo sia riuscito in ciò che doveva, in un modo magistrale: raccontare, mostrare, dar voce, far riflettere, ricordare. E, almeno per me, spingere a crescere sempre, e ricordare e imparare dal passato, per diventare una persona migliore, per migliorare continuamente come essere umano. Spero davvero di riuscirci.

Chiedo scusa sia a Lei, professore, e a Lei, signor regista. Non pensavo mi sarei dilungata così tanto: tendo ad avere difficoltà a fermarmi quando mi è lasciato spazio per dire quello che penso.

Spero che ciò che volevo dire sia arrivato.

Vi ringrazio ancora molto per l’esperienza toccante e preziosa. E per l’attenzione che avete dedicato per leggere fino a qui.

Mi avete aiutato non solo a crescere, ma anche a dare finalmente un contesto, dei volti, delle esperienze più reali e più vicine a tutte quelle storie sui desaparecidos che mia nonna mi raccontava quando ero, forse, ancora troppo piccola per capirne davvero la portata.

Grazie ancora. Non saprei dirlo in modo diverso.

Più di mille giovedì 09

Marika

Gentile Prof. Novarino,

sono una studentessa della LM38 e frequento con Lei il corso di storia contemporanea magistrale.

A seguito della visione dello spettacolo di questa sera, volevo ringraziare sia Lei che il Sig. Sicco per la bellissima opportunità offerta. È stato uno spettacolo davvero molto forte e toccante, sicuramente lo ricorderò per molto tempo. Inoltre mi ha permesso, discutendone a tavola questa sera, di scoprire che tra i desaparecidos vi sono anche entrambi i genitori di un conoscente di mia madre, emigrato in Italia da ragazzo, in seguito alla loro scomparsa. Non ne sapevo nulla prima di questo momento, mi ha colpita molto, sono storie davvero strazianti.

Per questo e molti altri motivi, trovo che sia a dir poco fondamentale mantenere viva la memoria di fatti come questo, anche perché non sono poi così distanti dal nostro tempo e dalla nostra realtà.

La ringrazio ancora.

Più di mille giovedì 15

Chiara (1)

Gentile docente,

sono una studentessa del suo corso di storia contemporanea, laurea triennale, le scrivo per farle sapere quanto abbia apprezzato che lei ci abbia mostrato lo spettacolo “Più di mille giovedì”. Mi è piaciuta molto l’interpretazione dell’attrice, soprattutto quando alzava la voce perché ho avuto quasi l’impressione di sentire il dolore che provava, indice anche di quanto sia stata brava l’attrice a immedesimarsi nella parte. Ho apprezzato anche che non c’era troppa scenografia e i vestiti della donna erano molto comuni perché mi ha permesso non di distogliere l’attenzione dalle parole e dall’espressione dell’attrice che erano la parte più importante. Il tema dei desaparecidos è stato un tema che mi è sempre incuriosito e mi sono sempre chiesta il perché nelle scuole non se ne parli mai. Trovo che sia una vicenda scioccante per la violenza perpetrata a danno di persone che avevano soltanto commesso lo “sbaglio” di avere un’opinione diversa dal regime e trovo inaudito che quei metodi di tortura si siano poi diffusi nel mondo, invece di essere sradicati, indice secondo me di quanto l’essere umano non abbia ancora imparato dai suoi errori e debba fare ancora tanti passi avanti.

La ringrazio davvero per l’opportunità che ci ha dato e la prego di porgere i miei ringraziamenti anche al regista per aver messo su uno spettacolo del genere.

Più di mille giovedì 26

Stefano

Gentile Professor Novarino,

le riporto nella seguente mail le mie impressioni sull’opera teatrale che ho visto nei giorni scorsi.

Dal punto di vista didattico, lo spettacolo e la successiva discussione sono stati capaci di approfondire un tema da me conosciuto solo superficialmente, affrontato molto velocemente nelle scuole superiori, nonostante, da ciò che mi è parso di intendere, si tratti di uno degli episodi più significativi e crudi degli ultimi 50 anni, esposto sul palco in modo diretto e violento.

Dal punto di vista emotivo, gli attori sono riusciti a trasmettermi il dolore di madri private dei loro figli, senza alcuna spiegazione, senza poterli concretamente piangere. Il solo pensiero che ciò possa accadere a persone a me vicine mi ha fatto sudare freddo e, per qualche momento, mi ha serrato il respiro mentre il riconoscimento del crimine con mancata pena, per quanto comprensibile, mi ha amareggiato non poco.

Ciò per cui sono più grato allo spettacolo, però, è il fatto d’avermi ricordato l’importanza di ogni singola persona che, seppur pianta all’interno della collettività delle madri, non perde mai la sua individualità. Oggi, sui media o nella stessa quotidianità, percepisco sempre più la revoca della individualità del singolo, delle caratteristiche che lo contraddistinguono, a favore della stereotipizzazione e di un’anonima massificazione. Sentire quanto fosse importante la memoria di ogni singolo soggetto in una comunità così ampia di madri “mutilate” mi ha sinceramente colpito e, probabilmente, sarà uno degli aspetti che ricorderò più vividamente della comunità dei desaparecidos.

Più di mille giovedì 55

Chiara (2)

Buonasera professore, sono una studentessa del terzo anno di turismo. Riguardo al filmato di ieri, questo mi ha sicuramente resa più sensibile alla questione e a quanto sia dignitoso manifestare, rispondere.

L’emozione però più importante mentre guardavo il video è stata la paura. La consapevolezza, la conferma che queste forme estreme di nevrosi e violenza non si estinguono con la creazione dell’ONU dopo un’altra estenuante guerra mondiale, neanche con l’avvento del benessere e dei buoni propositi, delle nuove tecnologie di comunicazione, di un mercato globalizzato.

Si pensa che il peggio comunque sia passato: noi occidentali ci tranquillizziamo ogni 27 gennaio dicendoci “per non dimenticare”, in realtà non ce ne frega un c… perché l’abuso di memoria sull’Olocausto ci ha fatto credere che questi eventi siano sepolti nel passato, anestetizzandoci rispetto alle altre stragi o genocidi, con dinamiche sempre preoccupanti. Dinamiche che non hanno smesso di esistere perché in realtà i desaparecidos in Argentina risalgono a 40 anni fa; pochi anni prima che io nascessi, in Unione Europea veniva ufficializzata la cittadinanza e i cellulari trovavano diffusione: intanto dietro casa bosniaci musulmani venivano sterminati, lo stesso in Ruanda, per non parlare oggi della Corea del Nord, Libia, eccetera.

I sistemi di tortura non hanno smesso di esistere. Il punto è che a noi giovani in parte sembra di studiare una storia lontana, lontana da noi, come se fossimo su un piedistallo e non ci toccasse e mai ci toccherà.

Non è così, siamo parte integrante della storia che studiamo, viviamo e lavoriamo con gli stessi meccanismi mentali di chi è stato vittima o carnefice in Argentina nel ‘78 o in Germania primi anni 40.

Dovrei essere confortata dal fatto che l’umano ha dimostrato, come le madri de la Plaza de Mayo, di saper rispondere e trovare un altro modo per sopravvivere, ma per ora riesco solo a provare paura, perché ci sono dentro appieno anche io in questa storia e inoltre mi ricorda che in qualche modo morirò anche io.

Spero di trovare una visione un po’ più appagante in futuro che tenga conto anche di quel lato umano “solidale”, più che altro responsabile.

Comunque, è la seconda volta che seguo il suo corso e ci tengo molto a ringraziarla per tutto quello che, consapevolmente e non, ha insegnato. Va oltre l’esame, che andrà come andrà. Quando parla, ci fa capire che va bene essere diversi, va bene desiderare, va bene fare figure di merda, va bene sbagliare, soffrire, amare o cambiare. In questi due anni ho fatto un percorso personale che mi ha cambiata profondamente e inconsapevolmente Lei mi ha aiutata a rimanere lucida.

Per questo la ringrazio e la ringrazio anche per la condivisione del suo ricordo, riguardo alla motivazione per cui ha smesso di arrampicare e le parole di fine corso: si percepisce la fiducia nei suoi studenti e la volontà/speranza che facciamo del nostro meglio, sempre.

Più di mille giovedì 53

Manuel

Buongiorno Professore Novarino,

ho seguito le due lezioni, con annessa rappresentazione, riguardanti lo spettacolo “Più di mille giovedì”.

Non conoscevo la storia delle “irregolari” e sono molto contento di aver fatto un po’ di chiarezza su questi avvenimenti che in parte, come detto anche dal regista Renzo Sicco, riguardano direttamente gli italiani. Considerando la loro età sarebbe stato possibile che un mio zio o genitore finisse nelle grinfie di questa dittatura.

È da questo punto di vista che ho osservato lo spettacolo che ha riportato ai miei occhi una realtà in cui una classe sociale opprime un’altra, senza mai “pagare” per i crimini commessi come spesso è successo nella storia dell’umanità.

Lo spettacolo ha suscitato in me paure su cui molte culture occidentali hanno smesso interrogarsi ormai da sessant’anni e che danno per scontato che crimini di questa portata non avverranno mai nella loro terra natale (o la terra che viene riconosciuta come tale).

La mia paura viene però accompagnata dalla speranza che si riesca, almeno in parte, con dedizione, a far prendere coscienza di questo a un numero più elevato di persone in modo da essere pronti al futuro conoscendo il passato.

La ringrazio per la possibilità di partecipare in modo attivo a una lezione universitaria.

Più di mille giovedì 08

Chiara (3)

Gentile Professore,

esprimere ciò che mi ha trasmesso l’opera teatrale è davvero difficile.

Mi ha lasciato amarezza perché va oltre ogni mia concezione come il genere umano possa spingersi così oltre pur di raggiungere anche solo un attimo di gloria.

Mi ha lasciato sicuramente dolore e tristezza perché di fronte a simili situazioni non si può che essere solidali e partecipare alla sofferenza.

Tuttavia, mi ha lasciato anche un senso di responsabilità nei confronti di tutti coloro che si sono compromessi e che hanno perso le proprie vite pur di difendere i loro ideali.

Ora tocca anche alla mia generazione portare avanti la loro memoria e la loro lotta, la lotta de las madres e abuelas, perché in ogni ragazza e ragazzo scomparso c’è un pezzo di ciascuno di noi.

Grazie per aver letto le mie parole.

Cordiali saluti

Più di mille giovedì 20

Francesca

Buongiorno,

sono una studentessa che ha frequentato il Suo corso di Storia Contemporanea (L15).

La rappresentazione teatrale a cui io e i miei colleghi abbiamo assistito mi ha molto colpita. Prima di affrontare con Voi l’argomento avevo già sentito parlare dei desaparecidos ma non ero a conoscenza di tutti i fatti accaduti.

Il monologo è stato molto di impatto, da pelle d’oca, e mi ha fatto molto riflettere soprattutto sul dolore che queste donne hanno vissuto: dalla perdita di un figlio, l’essere emarginate dalla società, parenti e amici, chiuse ciascuna nella propria sofferenza, destinate a soccombere, alla rabbia provata nel non ricevere risposte sulla scomparsa dei loro cari. Ma è proprio l’amore per gli stessi che ha dato loro forza. La forza di andare avanti nella lotta per la verità, per la memoria e la giustizia in Argentina e poi in tutto il mondo.

Altro punto che mi ha profondamente toccata è stato realizzare che vennero ulteriormente private della possibilità di poter piangere sulle tombe dei loro cari in quanto non vi erano i corpi. Credo che sia inimmaginabile il dolore da loro provato e il conflitto interno tra la continua speranza di veder tornare a casa il proprio figlio o la propria figlia e il sapere che però questo non sarebbe potuto accadere.

Volevo ringraziare Lei e il Sig. Renzo Sicco per questa opportunità.

Più di mille giovedì 27

Bruna

Egr. Prof. Novarino,

lo spettacolo teatrale “Più di mille giovedì” diretto da Renzo Sicco e basato sull’opera “Le irregolari” di Massimo Carlotto mi ha lasciato una sensazione di amarezza ed una serie di domande a cui probabilmente non c’è una vera e propria risposta, perché se neanche le Madres de Plaza de Mayo ne avevano una, penso sia ancora più difficile giustificare oggi in maniera razionale i fatti accaduti.

Sono rimasta piacevolmente colpita della bravura dell’attrice Gisella Bein, la quale con una sceneggiatura molto semplice ed una potente carica espressiva è riuscita a trasmettere in modo diretto il dolore di una madre che a differenza di altre madri non aveva perso la vita lottando per chiedere verità e giustizia, ma aveva perso comunque tutto.

È uno spettacolo che parla infatti di perdite: la perdita ingiustificata della propria figlia, che è probabilmente il dolore più straziante che possa esistere; la perdita del proprio marito a causa della sofferenza; la perdita della fiducia e dell’amore per la propria nazione e soprattutto la perdita della dignità, dal momento che a queste madri veniva persino tolto il diritto alla sepoltura dei propri figli.

Penso che portare all’Università e dedicare del tempo ad affrontare un tema come questo sia di estrema importanza, perché non bisogna abituarsi al dolore altrui, non bisogna sottovalutare fino a che punto possa arrivare la cattiveria umana. Il caso argentino ci insegna che basta poco a creare una tragedia così grande e insensata: un deficit economico e un gruppo di uomini spietati al comando, quali erano Jorge Rafael Videla e i suoi collaboratori.

In quanto brasiliana, ho avuto modo di entrare in contatto, grazie alle generazioni che mi hanno preceduta, con i ricordi di un periodo infelice del mio Paese e perciò, ancora di più, ritengo che sia necessario dare risonanza ai fatti avvenuti negli anni bui della dittatura, di qualunque parte del mondo essa sia, per evitare che si vengano a riproporre situazioni, come l’attuale tentativo del presidente Jair Bolsonaro di celebrare la dittatura brasiliana e il golpe del ‘64. Nell’attuale fase di crisi delle democrazie moderne, è nostro dovere impedire che il ricordo dei crimini compiuti dalle dittature vengano strumentalizzati e reinterpretati da governi al fine di riscrivere a proprio piacimento la storia. Se così dovesse avvenire, anche noi diverremmo colpevoli e complici delle atrocità commesse in passato.

Inoltre, riflettendo su quanto visto in classe mi sono chiesta (forse in maniera ingenua) come avesse fatto la dittatura a convincere i militari a fare tutto ciò. Non erano anch’essi padri ed umani? Non avevano una famiglia? Cosa pensavano di ottenere in quel modo?

Colgo l’occasione per ringraziarla per i preziosi consigli che ci ha dato e per l’entusiasmo e la professionalità con cui ha portato a lezione alcuni temi che spesso negli anni del liceo vengono affrontati in modo veloce ed approssimativo.

Più di mille giovedì 22

Sabrina

Gentile professor Novarino,

“Il tempo corre più veloce della memoria, della verità e della giustizia”.

Questa frase mi ha colpita perché con poche parole riassume la “situazione” dei desaparecidos. Parla della memoria delle madri che chiedevano notizie sui propri figli ricevendo risposte evasive, non chiare. I militari speravano che avrebbero smesso di chiedere con il passare del tempo. Che si sarebbero dimenticate dei propri figli e che piangessero relegate in casa, la perdita di un figlio, senza sapere cosa gli fosse successo e perché. La forza di queste donne nel protestare da sole, senza chiedere aiuto ai mariti. Anzi, in verità, erano loro a dire ai mariti di non unirsi a loro. Per due motivi: il primo è che era più difficile arrestare delle donne, se fossero stati uomini la polizia non avrebbe avuto alcuna pietà. Il secondo è perché si doveva pensare anche al resto della famiglia: se un uomo fosse stato arrestato non ci sarebbe stato nessuno a provvedere alla famiglia. E allora queste donne, queste madri di tutti i desaparecidos protestarono. Per più di mille giorni.

Il coraggio e la forza, anche dopo essere state tradite in primis dal Paese ma anche dalla Chiesa, luogo che invece doveva proteggerle e accoglierle. Poi non si può generalizzare perché ci furono aiuti anche dalla Chiesa o dalle suore. Ma ciò che rimane dopo aver visto questo spettacolo teatrale è la forza. La forza delle madri e delle donne, soprattutto nei periodi in cui vengono sottovalutate e forzate a non reagire.

In quei tempi esse si fanno avanti perché non c’è niente di peggio del dolore della perdita di un figlio, il non sapere e il non avere una tomba su cui piangerlo. Sapere anche la duplice violenza; quella psicologica sulle madri e nei confronti della società, spaventata e relegata in silenzio nelle case. Quella fisica, cioè l’utilizzo di torture come elettrodi, finte fucilate, morsi di cani addestrati, vasche gelate alternate a quelle bollenti e infine la morte, spinti da un aereo nel mare.

Quegli ultimi secondi di vita; tutta la paura e il dolore che si possano provare in una manciata di seconda. Questa è violenza pura.

Mi ha colpita anche che le madri e le poche persone sopravvissute potevano vivere solo con la vergogna: è un atto spietato. E ciò che è peggio è che questo fu solo un esperimento, come se si potesse definire tale. L’omicidio di 300 mila persone, relegato come un’elaborazione di una tecnica, e il fatto che potrebbe capitare ancora, magari anche con dimensioni e in contesti peggiori fa riflettere su quanto il potere possa cambiare le persone e rendere questo accettabile. I generali adottavano, certe volte, i bambini più piccoli di 10 anni (perché se si era più grande si era già ritenuto un sovversivo e torturato). Ci si chiede come abbiano fatto ad adottare dei bambini se poi fecero quello che fecero. Sapevano di star uccidendo i loro familiari, la loro gente.

Oggi molti, io per prima, non siamo informati o non lo siamo abbastanza. Perché questo non fu solo un episodio ma fu l’azione di un pensiero, di un’ideologia che ancora oggi è largamente diffusa; quella di poter controllare le società, a fini personali e individuali, con qualunque mezzo, anche non rispettando l’UMANITÀ.

Più di mille giovedì 57

Maria

Buongiorno professore,

è proprio in silenzio, che in Argentina durante la dittatura del generale Videla, migliaia di persone si dissolvevano nel vuoto. Venivano rapiti, torturati e uccisi nel più totale silenzio e scomparivano senza lasciare traccia, come se non avessero mai messo piede su questo pianeta.

I “Desaparecidos”, gente comune e innocente, che per mezzo dei cosiddetti “vuelos de la muerte” venivano narcotizzati e lanciati ancora vivi in mare senza alcuna dignità. Nessun lamento o rumore, solo le orme dei loro corpi adagiati in un letto di sabbia. Furono molti gli adolescenti e gli studenti rapiti. Cosa avevano fatto di male? Avevano osato protestare contro il prezzo troppo alto dei mezzi pubblici, battersi per i loro diritti.

La libertà di espressione, di stampa, di riunirsi in associazioni, di organizzare proteste e scioperi sono per noi cose semplici e scontate poiché fanno parte della nostra quotidianità, ma dovremmo imparare ad apprezzare di più la nostra libertà perché esistono luoghi nel mondo in cui questi settori importanti della vita sociale sono proibiti e i loro trasgressori puniti e uccisi.

Come nel 1976, e ancora nel 2019, nascere in un luogo diverso può fare la differenza. Ma non tutto era avvolto dal silenzio, le prime a ribellarsi furono le “Madres de Plaza de Mayo”, le madri dei figli “fatti scomparire”. La polizia le chiamò locas, ma quelle pazze e ingenue vecchie, per la prima volta, scendono in piazza a chiedere ragione della sparizione dei loro figli. Una marcia che non si arresta neanche di fronte alla dura repressione militare, infatti le madri non si danno per vinte e ogni giovedì scendono in piazza con un fazzoletto bianco in testa e le foto dei loro figli appesi al collo, noncuranti delle manganellate e degli arresti della polizia.

È una delle scene più drammatiche e toccanti che abbia mai visto.

Dal silenzio alla parola, dall’annientamento del dolore alla voglia di giustizia. Un atto di coraggio unico che solo una madre può compiere. Sono donne da cui tutti dovremmo prendere esempio. Il rito della sepoltura è l’unico modo che la nostra società ha elaborato per poter superare il dolore dell’assenza, ma con la desaparición si toglie ai sopravvissuti la possibilità di elaborare il lutto e immortalare l’assente attraverso il ricorso della memoria.

Forse è questa la ragione per cui, a distanza di quarant’anni, le Madri di Plaza de Mayo continuano a marciare imperterrite reclamando i figli scomparsi.

Ma chi ha pagato per quelle atrocità? Le morti, le torture, gli stupri, il terrore, sembra incredibile ma persino i principali artefici sono stati liberati e perdonati. Gli unici a pagarne il prezzo più alto furono le vittime e i loro cari.

Chissà quante urla strazianti non ascoltate, cosa hanno dovuto subire in quei luoghi di terrore.

Anche la Chiesa cattolica abbandonò i suoi figli e appoggiò attivamente il genocidio, ma non posso dire che questo mi abbia sconvolta più di tanto. Ero già rimasta schifata quando ai tempi del liceo appresi che la Chiesa cattolica aveva appoggiato e favorito la fuga di molti criminali nazisti che, ironia della sorte, non pochi esiliarono in Argentina.

Il governo argentino, ma anche il resto del mondo democratico, ha taciuto per anni su uno dei più violenti atti contro la vita umana. Questo è un altro pugno nello stomaco, di quelli forti, che la storia ci regala. Ancora oggi se ne parla poco, ma non dobbiamo mai dimenticare che poco tempo fa, nel mondiale del disonore, accadde anche uno dei più scandalosi crimini rimasti impuniti.

Nunca más! Nunca más!

Più di mille giovedì 45

Alessia

Buongiorno, sono ****** del Corso di Lingue e Letterature Moderne.

Le scrivo per dirle che lo spettacolo di ieri mi ha colpito molto: non sapevo quasi nulla sui desaparecidos e questa rappresentazione è stata una grande opportunità per imparare qualcosa in più.

Il monologo mi ha fatto provare un senso di profonda tristezza per il dolore che hanno dovuto, e che devono affrontare ancora adesso, le famiglie i cui cari sono scomparsi.

Il momento che più ha scosso le mie emozioni è stato quando viene detto che il nuovo governo, nato a seguito della dittatura, non abbia condannato i colpevoli di questi rapimenti e uccisioni.

La ringrazio per aver offerto a me e ai miei colleghi questa occasione.

Più di mille giovedì 53

Giorgio

Buonasera professore, sono ****** uno studente che sta seguendo il suo corso di storia contemporanea.

Desidero ringraziarla per aver condiviso con noi lo spettacolo proiettato ieri sera: è stato molto emozionante e commovente, mi ha fatto entrare nella mente e nell’anima di quelle persone ed è stato importante per immedesimarmi in questi racconti.

Ringrazi anche da parte mia Renzo Sicco per lo spettacolo e, soprattutto, per aver avuto l’idea di intraprendere questo racconto di una parte di storia per non farla mai dimenticare alle generazioni future.

Grazie ancora e buona serata.

Più di mille giovedì 55

Daniela

Gentile prof.re Novarino,

sono una sua studentessa del corso L-15.

Le scrivo riguardo lo spettacolo teatrale che ha condiviso con noi mercoledì. Ho apprezzato davvero tanto il suo spirito organizzativo e la sua voglia di renderci partecipi, in qualche modo, a questa organizzazione nonostante la situazione in cui stiamo vivendo non ci permetta di comunicare in presenza.

Fatta questa premessa, ho il piacere di esprimere le mie considerazioni riguardante lo spettacolo teatrale e la tematica in generale. Comincio col dire che fin da piccola ho avuto “un debole” per le storie autobiografiche. Mi immedesimo così tanto nelle storie da voler raccogliere e conoscere quante più informazioni possibili. Ecco perché, anche in merito alla Shoah, mi sono sempre interessata a film e documentari riguardanti quei periodi storici bui. Nonostante ciò, non ero bene a conoscenza di questa storia dei desaparecidos, quindi la ringrazio per averci dato la possibilità di conoscere una realtà, purtroppo poco conosciuta, che altri Paesi, in tempi non così lontani, hanno vissuto.

Ho avuto i brividi durante tutta la rappresentazione, sia per la bravura dell’attrice che, come già scritto a lezione, ha saputo perfettamente interpretare emozioni e sentimenti realmente vissuti, sia per la crudele tragedia di quanto avvenuto.

È davvero terribile vedere come, nel corso della storia, più volte, l’essere umano ha raggiunto livelli di estrema crudeltà. Mi chiedo come sia possibile che l’uomo non abbia imparato dalle vicende passate, ma ricada continuamente negli stessi errori.

Più di mille giovedì 18

Camilla

Buona sera Professore, mi chiamo Camilla e frequento il primo anno della magistrale in Comunicazione Internazionale.

Mercoledì ho partecipato alla visione dello spettacolo teatrale del Sig. Sicco, il che mi ha dato l’interesse nella ricerca e mi ha portato a conoscere anche la Compagnia Assemblea Teatro.

La visione mi ha avvicinato ad un capitolo triste di una storia lontana, non tanto nel tempo quanto geograficamente, e ho sentito nel confronto finale, che questa sensazione era condivisa anche dagli altri colleghi.

Il motivo credo che non sia tanto perché il nostro Paese è passato per una forte ondata di spostamento degli italiani verso l’Argentina, quanto perché a noi viene insegnato, a scuola e sin da piccoli, a non dimenticare. Purtroppo, anche l’Italia e l’Europa conservano capitoli altrettanto tristi nella loro storia, che oggi vengono custoditi attraverso il Giorno della Memoria, per commemorare le vittime dell’Olocausto, o la Giornata della Memoria e dell’impegno in ricordo delle Vittime innocenti delle mafie. Questo ha sviluppato in noi empatia e rispetto verso il dolore anche di diverse realtà. Inoltre, io stessa, pensando ad un italiano che metteva in scena un argomento così delicato e lo portava nel Paese di appartenenza, mi sono chiesta come un argentino potesse accettare e apprezzare un dolore così personale mostrato da una persona nata dall’altra parte dell’oceano, che quindi non apparteneva a quella storia. Ma, durante la presentazione del Sig. Sicco, ho avuto la risposta che cercavo, quando ha spiegato che avrebbe potuto essere lui uno di quei giovani desaparecidos e perché.

Grazie per questa possibilità e per i racconti delle Sue esperienze personali durante questo corso.

Più di mille giovedì 41

Sara

Gentile professore Marco Novarino,

sono ****** studentessa del corso di laurea triennale “Lingue e Culture per il Turismo”.

Le scrivo per ringraziare lei ed il Sig. Renzo Sicco per l’opportunità dataci di assistere al suo spettacolo teatrale “Più di mille giovedì”. Da appassionata di lingua, cultura e letteratura sudamericana e spagnola, le vostre dirette testimonianze sono state per me molto preziose, esperienze che, anche se solo raccontate, conserverò nella mia memoria.

Lo spettacolo mi ha colpito molto e fatto molto riflettere; riconosco la grande importanza di non dimenticare e l’arte, in tutte le sue forme, è secondo me il modo per arrivare in modo più diretto alla parte emozionale delle persone che è anche quella parte che meglio delle altre sa ricordare.

Volevo condividere con Lei un discorso dello scrittore argentino Julio Cortázar “Negación del olvido”, nella mia opinione molto crudo, reale, vicino ai temi ed alle emozioni di “Più di mille giovedì”. Se Le fa piacere e non lo conosce ancora, Le lascio qui il link che son riuscita a recuperare solamente in lingua originale http://www.24marzo.it/index.php? module = pagemaster&PAGE_user_op = view_page&PAGE_id = 402

La ringrazio.

Più di mille giovedì 57

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Dal nostro archivio

Buon compleanno, Taty!

Argentina: a 44 anni dal Golpe

Il nostro ricordo della desaparición

“Più di mille giovedì”, la storia delle Madres de Plaza de Mayo

“I fuggitivi”, l’inchiesta di Repubblica

 


 

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