Per molti era, e continuerà ad essere, il cantautore ferroviere, quello che per trovare fortuna musicale in Italia era dovuto emigrare e strabiliare Parigi e l’Olympia. Ma Gianmaria Testa, scomparso prematuramente lo scorso 30 marzo, era molto di più. Era “anche” il capostazione testardo che conosceva il suo valore, e che non poteva rassegnarsi all’ignavia discografica e musicale del nostro Paese. Ma, soprattutto, era (e sarà sempre) un grande poeta, capace di mettere le ali della musica alla vita quotidiana, alle storie di tutti i giorni che nelle sue canzoni sono diventate poesia.
“Tu non riesci a dire di te senza gli altri”, scrive Erri De Luca di Gianmaria Testa. Niente di più vero può essere scritto di questo grande e schivo artista. Testa era cosmopolita e contadino, langarolo di sangue ed europeo di sguardo (e di fama).
Nel suo ultimo durissimo periodo di vita, Gianmaria Testa ha scritto il suo primo libro: “Da questa parte del mare”, come il suo ultimo disco celebrato e premiato del 2006 – ristampato oggi su vinile.
“Da questa parte del mare” fu composto dieci anni fa esatti, un album di canzoni di rara potenza artistica e fenomenale mancanza di retorica. Qualità, quest’ultima, più unica che rara su un argomento come quello degli “altri” per eccellenza, dei migranti, le persone sconosciute che a milioni la Terra rovescia e disperde, gli uomini e le donne che siamo abituati a considerare “una questione” ma sono prima di tutto uomini e donne come noi.
Così dal disco discende il libro, a cui Erri De Luca ha scritto la prefazione, Einaudi ha pubblicato e noi leggiamo ritrovando la stessa scienza – saper guardare gli uomini – che anima le canzoni.
“Da questa parte del mare” è uscito il 19 aprile, a neppure un mese dalla morte del cantautore, ma non è un testamento. È un autoritratto, come lo definisce De Luca: ”una multibiografia di persone e di luoghi dove sei anche tu”.
In un centinaio di pagine Testa riflette proprio attorno alle canzoni del disco omonimo.
La lettura e l’ascolto trasmettono empatia verso i migranti di oggi e di ogni tempo, restituendo loro quella dimensione individuale e umana persa nelle cronache. I casi della vita, l’essere nati dalla parte sbagliata del mondo, li rendono apparentemente diversi, ma l’umanità è la stessa ovunque.
La multibiografia comprende, così, il rital di Marsiglia, l’operaio africano detto Tino, il ragazzo albanese, il violinista di Scutari… e pagine altrettanto belle sulla sua storia di figlio di contadini che ha “fatto in tempo, da bambino, a imparare la semina del grano a mano”.
Testa amava la musica e il jazz e, quindi, amava la giustizia ed il lavoro insieme. Con le sue canzoni e adesso anche con il suo libro, ci indica la forza della solidarietà. Con la sua vita ci ha mostrato la bellezza della coerenza e della voglia di provare ad essere invincibili, ma mai vincenti.
Perché l’invincibile è quello che prova a rialzarsi dopo ogni sconfitta. Il contrario del vincente, insomma, quello che non deve chiedere (e non vuole perdere) mai.