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In memoria della strage di Piazza Fontana

07 novembre, 2019 - 15:25

Ci sono giorni che cambiano la fisionomia di un paese.

Il 12 dicembre alle 16:37 avevo 16 anni.

La mia e diverse generazioni sono diventate altro da quel momento.

L’amico scrittore Giacomo Di Girolamo inizia il suo “Dormono sulla collina”, lo Spoon River d’Italia, da quella data che è un confine dove il paese non è più quello di prima. Da allora tutta la nostra storia è cambiata.

Ecco perché serve capire. Non è solo un ricordo. È una necessità.

Renzo Sicco

 

 

Sorelle d’Italia — Piazza Fontana, Milano

12 DICEMBRE 1969

Dov’è Pietro che vende bestiame? E Carlo, il nonno di Elisabetta?

Dov’è Luigi: cerca ancora i suoi clienti? E Paolo, che non ce la faceva a riposare? Dov’è Angelo, padre di undici figli?

Dove sono Giovanni, Attilio, Gerolamo?

Il gestore del cinema, il macellaio, l’agricoltore.

Cercateli, cercateli in piazza Fontana.

Sono entrati in una banca, sono usciti a pezzi.

In un tappeto di vetri rotti.

Noi bombe siamo la grammatica della storia patria: Piazza Fontana, Brescia, la stazione di Bologna, l’Italicus eccetera, eccetera, eccetera. .. come recitava Gaber. E io sono, in tutti i sensi, la sorella maggiore. L’inizio di una strategia. Il peso di una verità negata che lo Stato italiano ancora oggi porta dentro di sé.

Ore 16 e 37. Banca nazionale dell’agricoltura. Diciassette vittime, ottantotto feriti. In televisione, a Canzonissima, Massimo Ranieri canta <<Se bruciasse la città». Mancano dodici giorni a Natale.

Ricordatemi come volete: la bomba contro il popolo, luna rossa d’odio, il giorno dell’innocenza perduta, primo rintocco di campana.

Io sono l’erezione cutanea nella grigia nebbia padana che ha sfregiato il viso bello del Paese. Ma chi non ha avuto la sua inquietudine adolescenziale?

C’è sempre un momento in cui bruci tutti i ricordi del tuo passato, tutte le bambole con cui dormivi. Lo cantavano pure i Pooh alla loro <<Piccola Katy». Canzone, non a caso, del 1968.

Io sono quel momento.

Così fragorosa, così evidente da rendere stucchevole ogni tentativo di cercare una scusa.

Così allarmante da procurare — negli anni a venire — un silenzio profondo.

Un silenzio che é la fine del mondo.

Chiudi pian piano e ritorna a dormire

nessuno nel mondo ti deve sentire…

Ciao ciao, piccola Katy.

 

Sorelline d’Italia — Le alti-e bombe

12 DICEMBRE 1969

Disse la gente: a piazza Fontana forse é scoppiata una caldaia.

Ma fu questione di attimi.

Poi arrivammo noi, le sorelle minori, a spiegare che non si trattava di un incidente nella storia d’Italia; semmai di un deragliamento.

Altra emergenza: una bomba nella sede milanese della Banca commerciale italiana, in piazza della Scala. Viene fatta brillare.

Ma la radio interrompe i programmi, come in una giostra dei gol: 16 e 55.

Attenzione, attenzione, qui Roma. Chiediamo la linea: una bomba esplode in via Veneto, all’ingresso della Banca nazionale del lavoro.

17 e 20, c’è una bomba davanti all’A1tare della Patria.

17 e 30, bomba in piazza Venezia, quattro persone ferite.

Cinque attentati in cinquantatré minuti.

E gli italiani a chiedersi: cosa sta succedendo?

Qualcosa di organizzato e potente, rispondiamo noi.

Mica caldaie.

Per capire da dove veniamo, dovete capire dove eravate.

Riassunto delle puntate precedenti: 1’Italia e un Paese in fermento. C’era

stato il ’68 e gli operai avevano cominciato a protestare.

<<Agnelli e Pirelli ladri gemelli» era uno degli slogan del movimento operaio.

<<L’autunno caldo» lo chiamavano i giornali. Capelloni, operai in marcia, gente che contesta, scioperi per chiedere case, soldi e diritti. Lo Statuto dei lavoratori, che per la prima Volta riconosce i diritti di chi sta in fabbrica.

L’apertura di tutte le facoltà universitarie ai diplomati delle scuole medie superiori.

E c’é qualcuno a cui questo non piace.

No, non si può più dormire.

Chi é stato a mettere le bombe? ‘

La Polizia sarà sveltissima: sono stati gli anarchici. Anche perché, si sa, gli anarchici fanno questo: mettono le bombe. C’é subito un colpevole: Pietro Valpreda. Ballerino, squilibrato, drogato. Anarchico, appunto. C’é anche un tassista, Cornelio Rolandi, che lo ha portato fino alla banca; dice che aveva una borsa.

C’é una verità ufficiale, robusta come una caldaia di piombo pronta a esplodere.

Perché dubitare?

 

Giuseppe Pinelli

FERROVIERE, 15 DICEMBRE 1969

Forse é davvero una questione di caldaie impazzite, perché io sono morto di caldo, a Milano, a dicembre.

Quella sera a Milano era caldo

ma che caldo che caldo faceva

<<Brigadiere apra un pò la finestra»

e ad un tratto Pinelli cascò.

Io sono l’anarchico, quello morto accidentalmente.

No. Io sono l’anarchico che si é suicidato.

No. Io sono l’anarchico che hanno visto spingere giù, dal balcone della Questura di Milano.

No. Io sono l’unica vittima in Italia di una malattia rarissima, il <<malore attivo», per fortuna non contagiosa.

E sono l’unico a essere ricordato nel luogo della morte con due targhe. In una si dice: UCCISO INNOCENTE NEI LOCALI DELLA QUESTURA DI MILANO.

Nell’altra: INNOCENTE MORTO TRAGICAMENTE.

Potrebbero metterne una, a fare sintesi di tutto: SI APRE, PER CAMBIAR ARIA, UNA FINESTRA E UN CORPO PIOMBA NEL CORTILE.

Ma io ero soprattutto un ferroviere.

Mi piaceva stare con gli amici, leggere, studiare l’esperanto.

Che ne sapevo di teoria del volo?

La bomba di piazza Fontana fu il primo tocco di campana del mio funerale. Io non lo sapevo, non lo sapeva nemmeno quel giovane commissario che mi fermò due ore dopo la strage. Mario Calabresi, si chiamava. Ci odiavamo con rispetto. C’eravamo visti in così tanti cortei, io che sfilavo, lui che controllava. Alla fine era nata una specie di amicizia. Io gli avevo regalato anche l’Antologia di Spoon River, lui invece mi aveva dato Mille milioni di uomini, un diario di viaggio di Enrico Emanuelli. Ero orgoglioso di quel libro.

Mi ha detto: seguimi con il motorino fino in Questura. E io l’ho fatto.

Quarto piano, ufficio politico. Tre giorni stremanti di interrogatorio.

Cattivo mangiare, poco dormire. Fumare tantissimo, fumare tutti, come turchi.

Con il freddo che faceva aprirono pure la finestra per fare arieggiare un pò.

Calabresi mi interrogò a lungo. Peccato che fosse in un’altra stanza a quell’ora di notte, quando accesi la mia ultima sigaretta e il mio corpo si esibì nella scomposta e fatale imitazione di un volo.

Un volo anarchico.

Un ruotare sgraziato sulla ringhiera.

Questo precipitate nel vuoto.

La brace della sigaretta che mi accompagna, come un lumino di un camposanto.

A Pietro Valpreda, il mio amico ballerino, sarebbe venuto meglio.

 

 

(foto di copertina dell’articolo tratta dal Corriere della Sera del 13 dicembre 1969, cliccare sull’immagine per ingrandire)

corriere strage

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