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Alentejo. Alter do Chão

20 aprile, 2016 - 18:27

In occasione della rassegna “Portogallo Italia: due libertà” una serie di racconti che dipingono i luoghi portoghesi attraverso gli occhi di un italiano: Antonio Tabucchi. Qui si possono leggere quelli giù pubblicati

 

Una pubblicità portoghese dei vini dell’Alentejo (Além Tejo, alla lettera ” oltre il Tago”) dove un giovanotto regge scherzosamente al guinzaglio due pecorelle, dice: «L’autenticità dell’Alentejo è contagiosa». Pura verità. In quest’epoca di varie epidemie, c’è un luogo che ci “contagia” per una virtù così rara come l’autenticità.

Grande regione che si estende dal centro del Portogallo fino all’Algarve e che segna un lungo confine con la Spagna, l’Alentejo, pur nella sua inconfondibile fisionomia (le querce da sughero, gli oliveti, le pianure peri pascoli, le case bianche orlate d’azzurro, la foggia dei vestiti femminili, i cappelli degli uomini, la bonomia delle persone), presenta fortissime diversità. Le zone del litorale, dove l’attività economica più importante è la pesca, hanno il clima e il paesaggio che assomiglia al Mediterraneo. L’interno, segnato da inverni rigidi e estati ardenti, è più aspro e segreto. E dalle vaste piane, come fate morgane nel deserto, sorgono antiche e bellissime città. Per esempio Évora, la Liberalítas Julia dei romani (notevole il Tempio di Diana proprio di fronte al Convento dos Lóios, in stile manuelino), poi Yebora per gli arabi; Beja, la Pax Julia dei romani e la Baju degli arabi, con il suo superbo castello; o Elvas, rinchiusa nei suoi bastioni. Oggi molti di questi antichi castelli e fortificazioni, grazie all’idea di un turismo intelligente di cui si è fatto carico lo Stato, sono stati trasformati in pousadas, alberghi di alta qualità gestiti in maniera perfetta a prezzi più che accettabili.

Ma oltre alle superbe città dell’interno, l’Alentejo è regione di paesi ed villaggi straordinari nei quali regna un’atmosfera davvero ” diversa”. Fra i tanti che potremmo scegliere, il viaggiatore casuale oggi si è fermato a Alter do Chão. Per gli stessi alentejani Alter è quasi l’emblema della loro regione, ma i portoghesi in genere riconoscono che Alter do Chão, ha un “qualcosa” in più. Perché Alter, per giocare col nome, ha qualcosa di ”altero”, una caratteristica datale dal tempo, dalla civiltà, dalla Storia. Fondata dai romani, intorno al 200 d.C. (Abelterium o Eleteri, mentre Chao significa “in terra piana”), la sua importanza fu legata soprattutto alla posizione geografica, trovandosi sulla strada che univa Olissipo (Lisbona) a Emerita Augusta (Mérida), dunque luogo di transito delle mercanzie fra il litorale atlantico e l’lberia interiore. Tradizionali festività popolari ancor oggi vivacissime (il cosiddetto Festival Romano), si dice celebrino il passaggio dell’imperatore Adriano che qui venne a soffocare contese locali e dotò la cittadina di privilegi imperiali. Fu poi conquistata dai Vandali che ne distrussero le fortificazioni, ricostruite nel 900 d.C. dagli arabi. Ridivenne cristiana (e pare nuovamente distrutta) grazie alla spada riconquistatrice di Nuno Álvares Pereira. Nel 1359 il re Don Pedro I fece di nuovo edificare il castello pentagonale che domina il centro della città, dove c’è un bellissimo portale gotico. Nel 1748 Don João V, consigliato dalla consorte Marianna d’Austria, fece importare giumente andaluse con l’ intento di creare una razza equina portoghese. Ne nacque l’Alter Reale, comunemente chiamato cavallo lusitano, tutt’oggi adoperato nella Scuola portoghese di Arte Equestre (a volte anche nelle corride). Nel settecentesco monumento equestre di praça do Comércio a Lisbona, il re Don José cavalca un Alter.

Recentemente gli archeologi hanno ritrovato un pavimento di una casa aristocratica dell’epoca romana con uno straordinario mosaico che raffigura scene dell’Eneide. ll caso ha voluto che lo potessi vedere mentre gli archeologi lo riportavano alla luce, spazzando via i detriti del tempo.

Un’apparizione simile l’avevo vista solo al cinema in Roma di Fellini. Camminando fra la polvere degli scavi a un certo punto mi sono trovato sulle spalle di Enea. E mi sono sentito Anchise. ll sito archeologico è ormai aperto al pubblico. Il mosaico, per fortuna, non è svanito come accade agli affreschi del film di Fellini.

 

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