Informativa Cookie

Perché Assemblea Teatro non va in streaming

12 marzo, 2020 - 12:59

Da diverse parti giunge il sollecito a presentare nostri lavori sul web in streaming.

Capisco la situazione di emergenza ma questa non mi sembra una cura necessaria. Anzi.

Per anni e anni, presentando gli spettacoli al mattino alle scolaresche, ho detto ai ragazzi che il teatro non era come guardare un film o un programma su uno schermo, perché viveva in un luogo particolare e straordinario come la contemporaneità.

Dicevo testualmente: se guardi un televisore o un monitor ti puoi alzare e andare in cucina a bere un bicchiere di latte oppure puoi rispondere al telefono, chi è sullo schermo va avanti come se nulla fosse, non ne risente. In teatro non si può, perché si creano fili invisibili di relazione tra chi fa e chi vede, tra chi parla e chi ascolta.

Dunque, li prenderei in giro se lo facessi.

Ci sarà presto un tempo per tornare a farlo, per me è meglio aspettare!

Per contro, mi dicono che il teatro è stato un tempo presentato in televisione. È vero, ma intanto doveva essere ripreso proprio coi tempi per la televisione ed era quella però una scelta educativa per ampliare le conoscenze a chi non ci poteva andare. Un po’ come “Non è mai troppo tardi” era un sostitutivo della scuola alfabetizzatrice che non c’era.

Poi tanto è cambiato il mondo scolastico e tanto è cambiata la televisione.

Il teatro è rimasto uguale a se stesso, certo anche arricchito di contaminazioni e nuovi linguaggi, ma la sua forza è rimasta la particolarità della sua artigianalità e il suo vivere direttamente a contatto col suo fruitore.

Anche noi, è vero, a volte lo filmiamo, ma è per trattenerne documentazione o per fare piccoli video promozionali.

Il virus fa già tanti danni così, non per mettiamogli di uccidere anche la specificità teatrale.

L’assenza dalle scene, oggi chiuse, ci permette forse di far risaltare ancora di più il suo valore. Tante volte sottostimato.

Quando lo spettatore tornerà a teatro, lo farà col piacere di ritrovare il modo per tuffarcisi dentro, terminato il freddo dell’inverno.

 

Renzo Sicco

Direttore Artistico di Assemblea Teatro

 

 

POLTRONE VUOTE rolling

 

Sullo stesso argomento ci sembrano interessanti ed utili anche queste osservazioni di Marco Baliani

 

Sulla necessità per l’arte di esistere

di Marco Baliani

 

Non passa giorno che non mi arrivi da teatri, centri culturali, festival, inviti a registrare qualcosa di mio da mandare via social per far sì che si tenga viva la voglia di teatro. Per cui si assiste a una profusione di questi surrogati dell’azione scenica realizzati davanti a telefonini che riprendono male, con scarsa definizione, con inquadrature azzardate a dir poco, oppure chiedono solo la voce, insomma tutti chiedono agli attori di esserci, di non fare silenzio. Ce n’è già tanto fuori che mette paura, non ci siamo più abituati, dobbiamo riempirci di voci, immagini messaggi video chat per essere sicuri di esserci ancora, è una società ormai assuefatta al frastuono, allo scorrere rumoroso di esistenze frenetiche, bulimiche.

In attesa che i teatri riaprano e che la gente si ricordi com’era lo stare tutti insieme in uno stesso spazio e in uno stesso tempo, ce ne vorrà molto di tempo, bisognerà riabituarsi al sociale vero, non virtuale, sarà un esercizio difficile, una riabilitazione psichica per niente scontata. Intanto gli attori quelli veri e quelli improvvisati, affollano i piccoli francobolli visivi degli smartphone con le loro prestazioni. D’altronde gli attori, noi, viviamo solo per quello, per essere amati, non è vero che l’attore è narcisista, sì forse ce ne sono ma il vero narciso non vuole essere guardato da altri occhi se non i suoi stessi, ama lo specchio, non lo scambio di sguardi, e per questa smania di essere amati siamo disposti a tutto, a piegarci anche, a dover subire umiliazioni, ogni attore ne ha passate di storiacce simili, è stato sfruttato, usato, costretto ad accettare contratti ridicoli, tutto pur di essere in scena, di cambiar pelle, di non limitarsi ad avere una vita soltanto.

Adesso che tutte le categorie di lavoratori chiedono un giusto risarcimento guardate che tristezza la questua degli artisti della scena, quando i loro rappresentanti cercano di far passare una modesta proposta di salvaguardia lo fanno con quel sorriso di condiscendenza, come se sempre chiedessero scusa di esistere, tanto si sa che gli attori si adattano e poi che mestiere è il loro? Che cercano, soldi? Loro hanno l’arte, no? In Francia da tempo agli artisti è riservato il diritto di accedere ad una retribuzione quando le pause tra una messa in scena e l’altra, tra un film e l’altro si fanno lunghe, lì sanno che è un mestiere duro e che serve tutelarlo, sanno e sono orgogliosi di saperlo che l’artista è una bandiera, un simbolo vivente di un’intera società, la rappresenta e la interroga in ogni istante meglio, a volte, di come fa la politica o la filosofia. Qui da noi no, ancora siamo una categoria fantasmifera, e per far crescere numeri alle risorse ecco allora che ci si dedica con accanimento a dimostrare quanto la cultura sia un volano per l’economia, per l’indotto degli alberghi, dei ristoranti, i viaggi, le maestranze, i contributi etc, sempre lì a supplicare di considerarci uguali agli altri, economicamente simili ad altre categorie di lavoratori.

Di arte in quanto tale non si parla mai, non si parla della necessità per l’arte di esistere anche se non produce affatto ricchezza immediatamente misurabile, anche se il gesto dell’artista non si può omologare alla ordinaria produttività, la sua presenza e il suo corpo non sono delle merci interscambiabili, appartengono all’effimero, alla cicale e non alle formiche, e se le formiche fossero intelligenti, invece di fare quelle idiote ramanzine della fiaba, dovrebbero pensare a mettere da parte sempre un gruzzolo per far cantare le cicale nei lunghi mesi invernali, come chiedono a gran voce alle cicale di cantare adesso in questo inverno prolungato oltre natura e oltre stagione.

E poi qui da noi, in questo paese ancora malato di familismo e di municipalismo esasperato, ancora subiamo l’ostracismo antico della chiesa, il suo bigottismo è connaturato al DNA di questo popolo per altri versi meraviglioso e inaspettato, oscurantismo che ci faceva seppellire fuori dalla cinta delle mura cittadine, eravamo i girovaghi, i poco di buono, i non affidabili, quelli che, se andava bene, gozzovigliavano fino a strafogarsi alla tavola del conte o del duca che li aveva invitati con le loro carabattole a mettere in scena qualcosa per il suo privato personale divertimento, e quegli eccelsi poveracci mangiavano molto più del possibile per fare provviste caloriche per i grami giorni a venire.

Ecco, adesso i giorni a venire per noi attori saranno duri proprio come per gli altri, peggio, senza tutele, con una differenza psichica non piccola, noi siamo abituati all’intermittenza del vivere, da sempre, il nostro tempo è sempre stato indeterminato per così dire, me ne accorgo in questi giorni in cui devo per salvarmi trovare un ritmo quotidiano, con la valigia disfatta dall’ultima tournée… questo ritmo del tempo in cui faccio delle cose per le quali non è più la voglia a decidere ma l’ineluttabilità, questa cosa meravigliosa che sempre agogniamo quando siamo in giro ora che mi accade mi appare nella sua terribilità, divento ospedalizzato, attendo le scadenze del giorno, i pasti, il telegiornale, come fossero rintocchi del tempo che bussa inesorabile alla mia vita fino ad ora votata al nomadismo. Stringere i denti certo, attendere, certamente, le attese non ci spaventano, purché poi si esca dalla quinta e ci si mostri in scena, se no l’attesa là dietro al buio diventa un martirio.

E poi per ultimo non possiamo mica metterci in scena da soli, ci servono occhi sguardi applausi ci serve sentire che ci sentono, contaminarci, sì, ma di parole gesti emozioni empatia. Dipendiamo da voi altri, nel nostro giardino zoologico non siamo una specie protetta, aspettiamo che veniate a trovarci, dal vivo, come si dice del nostro spettacolo, dal vivo, finché morte non ci separi dunque.

 

 

 

 

Tratto da Pangea.news

streaming

Il teatro è stremato ma lo streaming non è la strada giusta

(cliccare sul titolo per visualizzare l’articolo) 

 

 

Tratto da Il Fatto Quotidiano del 23 aprile 2020

Il-Fatto-Quotidiano-230420-p22

 

°°°°

 

Un messaggio di Natalino Balasso

al ministro dei Beni Culturali, Dario Franceschini

 

 

 

One Response to : Perché Assemblea Teatro non va in streaming

  1. Claudia Bergantin says:

    Carissimo Renzo, nel mio piccolo, condivido pienamente il tuo pensiero. Sono felice di aver riposto la mia fiducia in Assemblea Teatro. Sarà per me un onore e un piacere poter venire a teatro quando si potrà. Grazie di tutto e un gran abbraccio a tutti voi.

Lascia una risposta

L'indirizzo email non verrà pubblicato. I campi obbligatori sono contrassegnati *

*

You may use these HTML tags and attributes: <a href="" title=""> <abbr title=""> <acronym title=""> <b> <blockquote cite=""> <cite> <code> <del datetime=""> <em> <i> <q cite=""> <s> <strike> <strong>