Informativa Cookie

IL FUNERALE DI NERUDA – garofani rossi per Pablo

06 marzo, 2012 - 15:45



testo di Renzo Sicco e Luis Sepúlveda

con Gisella Bein, Annapaola Bardeloni, Marco Pejrolo, Giovanni Boni, Maurizio Leoni,

Sax Nicosia, Mattia Mariani, Silvia Nati, Angelo Scarafiotti

musiche di Stomu Yamastha, Inti-Illimani, Victor Jara, Patricio Wang,

Sigur Ros, Violeta Parra

regia di Renzo Sicco

 

In mezzo alla devastazione, nella sua casa anch’essa fatta a pezzi a colpi d’ascia, giace Neruda, morto di cancro, morto di pena. La sua morte non bastava, poiché Neruda è uomo di lunga sopravvivenza, e i militari gli hanno assassinato le cose: hanno ridotto in frantumi il suo letto felice e la sua tavola felice, hanno sventrato il materasso e hanno bruciato i libri, hanno spaccato le sue lampade e le sue bottiglie colorate, i suoi vasi, i suoi quadri, le sue conchiglie. All’orologio a muro hanno strappato il pendolo e le lancette; e hanno conficcato la baionetta in un occhio del ritratto di sua moglie.

Dalla sua casa rasa al suolo, inondata d’acqua e di fango, il poeta parte per il cimitero. Lo scorta un corteo di amici intimi, capeggiati da Matilde Urrutia.

A ogni nuovo isolato, il corteo cresce. A tutti gli incroci si aggiungono persone che si mettono a camminare nonostante i camion militari irti di mitragliatrici e i carabineros e i soldati che vanno e vengono, su motociclette e autoblinde, che fanno rumore, che fanno paura. Da dietro qualche finestra, una mano saluta. Dall’alto di qualche balcone, sventola un fazzoletto. Oggi sono passati quattordici giorni dal colpo di Stato, quattordici giorni di tacere e morire, e per la prima volta si ode l’Internazionale in Cile, L’Internazionale mugolata, pianta, singhiozzata più che cantata, finché il corteo diventa processione e la processione diventa manifestazione e il popolo, che cammina contro la paura, comincia a cantare per le strade di Santiago a perdifiato, a voce piena, per accompagnare come si deve Neruda, il poeta, il suo poeta nell’ultimo viaggio.

Eduardo Galeano

 

Assemblea Teatro, ancora una volta, sceglie di ricordare quanto della storia, quella vera, si cerca di dimenticare. Il funerale di Pablo Neruda rende memoria ad un poeta che, attraverso la forza della parola, ha salvato la dignità del suo popolo e la propria, al di là di ogni oltraggio politico e umano.

Lo spettacolo, come una veglia senza tempo, attraversa la vita del Cile prima e dopo il Golpe dell’11 settembre e la bara del poeta, come le sue case, è architettura di fantasia, trionfo di allegria e resistenza.

 

Teatro di testimonianza quindi, ove drammaturgicamente si intrecciano passato e presente nella coralità creata da nove personaggi che restituiscono voce e corpo ad una poesia incentrata sulla solidarietà umana, capace di travalicare ogni barbarie.

In scena pochi ed essenziali elementi: alcune macerie, simbolo della devastazione subita dalla casa di Neruda ad opera dei militari di Pinochet, e la bara del poeta, sulla quale siede l’interprete del poeta stesso, narratore e commentatore delle vicende.

Dall’orrore della persecuzione, Assemblea Teatro fa risorgere la poesia: la bara si trasforma in un territorio dal quale fuoriescono conchiglie, bicchieri, bottiglie e oggetti con cui Neruda amava arredare le sue case-barca, metafora del navigare tra porti ove attingere nuovi e significativi versi da donare all’umanità.

Il funerale del poeta unisce un’enorme massa di persone che caparbiamente sfidano i militari allineati ai lati del corteo.

L’emozione creata da una parola schietta e piena, che canta la libertà contro ogni oppressione, sconfigge la paura di un popolo privato dei suoi più elementari diritti.

Il 6 dicembre 2008, Il funerale di Neruda ha debuttato simbolicamente a Santiago del Cile, nell’ex centro di detenzione, oggi Museo della Memoria, di Villa Grimaldi per ricordare il sessantesimo anniversario della Dichiarazione dei Diritti Umani.

Continuando nella propria tradizione, Assemblea Teatro continua a far presente il significato etico della cultura, della poesia e del teatro, unitamente alla volontà di rendere giustizia a chi per questa ha combattuto.

 

Patrizia Mattioda

 
Dieci anni fa Assemblea Teatro realizzò con lo spettacolo “Fuochi” la sua prima tournée in Cile a cui ne seguirono diverse con altri spettacoli “Dialoghi”, “Più di mille giovedì”, “Ironicamente”, “Parole spezzate”.

Dal deserto di Atacama alla Patagonia australe abbiamo girovagato quel lungo paese al estremo sud del mondo. Ci siamo innamorati dei suoi poeti e scrittori e con alcuni siamo divenuti grandi amici.

Ma indimenticabile nella nostra memoria rimane la visita alla casa di Neruda a Isla Negra. Abbracciati da uno sterminato oceano siamo letteralmente caduti in quel sogno architettonico, in quella poesia fatta di stanze, di pareti, di finestre e dei tanti oggetti che Neruda aveva raccolto in una vita ricca di esperienze, in diversi paesi fin dal primo novecento.

Una frase scritta a fuoco sui legni che sostengono la parete d’ingresso ci fulminò “Sono tornato dai miei viaggi. Ho navigato costruendo l’allegria”. Era la sua dichiarazione di vita per sé ma anche per gli altri, ed era una dichiarazione che un po’ facevamo nostra rendendoci a pieno titolo legittimi abitanti di quella casa. Mai, allora, avremmo pensato che dieci anni dopo saremmo tornati, carichi di allegria, anche a Isla Negra, alla tomba di Pablo e Matilde, a narrare quei giorni del Cile, giorni duri che però, come ogni deserto, celavano sotto il suolo le gemme di una fioritura.

Bastava l’acqua che con la democrazia è tornata a scorrere.

 

Renzo Sicco

Lascia una risposta

L'indirizzo email non verrà pubblicato. I campi obbligatori sono contrassegnati *

*

You may use these HTML tags and attributes: <a href="" title=""> <abbr title=""> <acronym title=""> <b> <blockquote cite=""> <cite> <code> <del datetime=""> <em> <i> <q cite=""> <s> <strike> <strong>