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Un anno fa… Ricordando Eduardo Galeano

02 maggio, 2016 - 21:14
galeano -

Foto di Daniel Mordtzinski

Un anno fa il mese di aprile 2015 si è portato via Eduardo Galeano, uno dei più grandi scrittori del continente sudamericano. Daniel Mordzinski, il grande fotografo amante come lui della letteratura, nella sua esposizione a Torino aveva portato questo suo ritratto, che lo fissa bell’uomo qual era, dallo sguardo intenso e profondo come la sua scrittura. Ci piace ricordarlo con la gioia di averlo avvicinato diverse volte, di averlo conosciuto a Montevideo in un bellissimo e interminabile pomeriggio, di aver potuto usare diverse volte le sue parole che non vogliamo dimenticare e che dunque tante altre volte continueremo a recitare.

Adesso le scriviamo su questo sito.

Difficile scegliere una sua pagina ma è l’attualità, a cui Galeano come alla memoria e alla storia è sempre stato attento, a offrirci la scelta.

Eduardo, nel suo “Le labbra del tempo” (edito da Sperling & Kupfer) ha raccontato la migrazione attraverso una metafora. Proprio in questi giorni le riviste scientifiche parlano della bussola segreta delle farfalle Monarca, che migrano lungo 4000 km dal Canada al Messico:

“E’ forse il viaggio più affascinante in natura: dai Grandi Laghi, al confine tra Canada e Stati Uniti, alle calde vallate del Messico. A compierlo non sono possenti quadrupedi o uccelli dall’apertura alare imponente, ma le piccole farfalle Monarca. A dispetto della loro leggerezza (poche decine di grammi) e delle ali delicate affrontano, unico insetto sulla Terra, due volte l’anno una migrazione lunga 4mila chilometri, attraversando catene montuose e le grandi pianure del Nordamerica. Dimostrando una grande resistenza e, mistero nel mistero, una incredibile capacità di orientamento. Ora però, il segreto della “bussola” delle Farfalle Monarca è stato finalmente svelato: usano il sole e un orologio, un po’ come facevano i marinai.(…)

Tutto sta in come gli insetti incrociano le informazioni che raccolgono attraverso gli occhi e le antenne per dirigersi nel loro tragitto.(…)

L’evoluzione ha messo a punto meccanismi capaci di grandi prestazioni anche in condizioni estreme.(…)

Una volta individuati i due strumenti usati dalle farfalle, si è reso necessario comprendere come siano in grado di elaborare le informazioni raccolte per definire la rotta da seguire e puntare quindi con decisione verso sudovest”

(Matteo Marini – La Repubblica – 18 Aprile 2016 pag.20)

Se questa è la scienza, la poesia di Galeano così dipinge il medesimo fenomeno

“Quando arriva l’autunno, milioni di farfalle iniziano il loro lungo viaggio verso il Sud, dalle terre fredde dell’America del Nord.

Un fiume scorre, allora, nel cielo: l’ondata soave, onde di ali, lascia al suo passaggio uno splendore di color arancione sulle vette. Le farfalle volano sulle montagne, le praterie, le spiagge, le città, i deserti.

Pesano poco più dell’aria. Nei quattromila chilometri di traversata, parecchie cadono abbattute dalla stanchezza, dai venti e dalle piogge, ma molte che resistono atterrano, finalmente, nei boschi del Messico centrale.

Là scoprono quel regno mai visto, che da lontano le chiamava. Sono nate per volare: per volare questo volo. Poi, tornano a casa e là nel Nord muoiono.

L’anno successivo, quando arriva l’autunno, milioni e milioni di farfalle iniziano il loro lungo viaggio…”

E sullo stesso libro (“Le labbra del tempo”, ed. Sperling & Kupfer) edito nel 2004, così parlava de

Gli emigranti adesso

“Da sempre, le farfalle, le rondini e i fenicotteri volano fuggendo dal freddo, un anno dopo l’altro, e le balene nuotano alla ricerca di un altro mare e i salmoni e le trote alla ricerca dei loro fiumi. Loro viaggiano miglia e miglia per i liberi cammini dell’aria e dell’acqua.

Non sono liberi, invece, i cammini dell’esodo umano.

In immense carovane, i fuggiaschi se ne vanno dalla vita impossibile.

Viaggiano dal sud verso nord e dal sole nascente verso ponente.

Gli hanno rubato il loro posto nel mondo. Sono stati spogliati dei loro lavori e delle loro terre. Molti fuggono dalle guerre, ma molti di più fuggono dai salari sterminati e dalle terre bruciate.

I naufraghi della globalizzazione vagano inventandosi cammini, desiderando una casa, bussando alle porte: le porte che si aprono, magicamente, al passaggio del denaro, a loro si chiudono in faccia. Alcuni riescono a infiltrarsi. Altri sono cadaveri che il mare consegna alle coste proibite, o corpi senza nome che giacciono sotto terra nell’altro mondo dove volevano arrivare.”

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