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Teatro Valle occupato

25 aprile, 2012 - 16:50

I giornali parlano ogni tanto del Teatro Valle occupato. Trattasi di una realtà romana e nazionale sino al 2010 gestita dall’ETI, Ente Teatrale Italiano, sciolto in quell’anno come altri enti ritenuti inutili. Il Teatro Valle, uno dei teatri più antichi d’Italia, è stato occupato nel giugno 2011 da artisti e lavoratori dello spettacolo mentre il Comune di Roma lo teneva chiuso per le poche idee sul da farsi.
Da allora è gestito da loro ed è divenuto un’officina dove si sperimentano nuove forme di organizzazione culturale rendendo, se ancora ce ne fosse bisogno, più evidenti le magagne del sistema teatrale italiano.
Per capire meglio il senso di questa esperienza volentieri pubblichiamo un documento recentemente elaborato dagli artisti del Valle Occupato.

Renzo Sicco

Due anni fa mentre scendevamo in piazza a contestare i tagli al Fus, mentre cercavamo di rendere esplicito e di argomentare che portare avanti una protesta contro i tagli NON SIGNIFICAVA DIFENDERE L’ESISTENTE leggiamo una relazione presentata, all’università Roma tre, nell’ambito di un convegno dal titolo Nuova politica culturale dello Stato.

“Nel teatro i tassi di partecipazione sono cresciuti di sei punti e mezzo, ma la quantità di biglietti rilevati dalla Siae è cresciuta molto meno. Sintomo, presumibilmente, di un cambiamento dei comportamenti del pubblico, che è diventato più numeroso ma con frequenze di partecipazione più basse e asistematiche, e probabilmente anche con luoghi di frequenza più eterogenei del passato. Nuovi pubblici emergenti che non hanno comportamenti simili a quelli dei tradizionali abbonati ai teatri stabili e alle Fondazioni lirico-sinfoniche. Pubblici alla ricerca di nuove modalità di consumo e di interazione, e che forse in qualche caso già le hanno trovate lontano dalle istituzioni ufficiali”

Lo spettacolo dal vivo negli ultimi trent’anni è molto cambiato. Una parte del teatro maggiormente finanziato non rappresenta più la totalità della proposta: nascono nuovi pubblici, in luoghi eterogenei e non istituzionali.

La sensazione per noi, dapprima solo come zeropuntotre e poi successivamente in questo anno di mobilitazione nelle strade, nelle piazze in una condivisione sempre più partecipata come lavoratori dello spettacolo, è che questo dato che parlava di pubblico e fruizione, parlasse anche di noi. Di riflesso ci faceva capire qualcosa di quella comunità che rendeva possibile quel cambiamento “verso nuove modalità di consumo ed interazione fuori dalle istituzioni ufficiali”, che in sostanza fosse la manifestazione del nostro mondo artistico-produttivo.

E questa ricerca ideata, autofinanziata, sponsorizzata e portata avanti con caparbietà in un sforzo comune riesce nel nostro intento.
Quello cioè di rendere tangibile e dare un prova concreta non tanto della nostra esistenza, quella noi ce l’abbiamo ben presente. Ma di narrarla. Una narrazione fatta di numeri e dati capace di disegnare, come coordinate geografiche, la mappa di un territorio sommerso.

Dovremmo dire nella migliore delle ipotesi un mondo sconosciuto alle istituzioni, lo si evince dalle proposte legislative che ora, ora con il cambio di governo sono carta straccia.
– la bozza di legge sugli ammortizzatori sociali della Commissione lavoro, che riusciva in un compito non facile: essere peggiorativa dell’esistente.
– la proposta di legge quadro tutta basata sul concetto di impresa. Legge per la quale in questi giorni l’on. Carlucci si spende per cercare dei sostenitori artistici per renderla condivisa agli occhi del nuovo ministro della cultura.
Un mondo dicevamo ignorato dalle istituzioni e dalle associazioni datoriali, abbandonato dalle associazioni sindacali. Un territorio comunque e ovunque depredato e sfruttato. Verrebbe da dire quasi volutamente costretto nella condizione al di sotto della sopravvivenza.

I dati appunto ce lo dicono,e ci raccontano un mondo che ancora non subisce gli effetti della crisi, se l’inchiesta arriva al 2010 è da considerare che fa riferimento ai finanziamenti e alle risorse disponibile per il 2009. Quindi sarebbe interessante vedere l’anno prossimo e quello dopo.

Ma comunque….

Un mondo artistico-culturale- produttivo i cui protagonisti sono giovani, con una forte presenza femminile, laureati per 57%, (la media italiana dati eurostat è dell’11%) che lavora in questo settore da 10 anni, con un inserimento nel mondo del lavoro in controtendenza rispetto a quello che succede per altri settori lavorativi in italia. L’età media d’inizio è 24 anni, mentre una statistica del centro studi datagiovane ci mette al penultimo posto nella graduatoria ocse per quanto riguarda l’inserimento degli under 25 nel mondo del lavoro.
Una comunità di lavoratori che per l’70% sta al di sotto della soglia di povertà ( il 51% guadagna mediamente tra i 4-5mila euro annui) che dichiara di lavorare un 20% al nero, e che è costretta a dedicare un terzo della sua attività lavorativa fuori da quella artistica.(fa altri lavori, molti dei quali anche questi al nero o comunque fuori dalla tutele)
Una comunità che solo per il 18% dichiara di usufruire di ammortizzatori sociali, e sapendo a quanto ammonta mediamente un sussidio di disoccupazione a requisiti ridotti, viene da piangere.
Una comunità che dichiara che nel 78% dei casi di infortunio non viene indennizzata.
Che vive in un mercato del lavoro chiuso,artigianale, dove le informazioni sono legate a rapporti pregressi e dove la possibilità di lavoro è legato ad rapporto di carattere fiduciario.
Con contratti soprattutto a tempo determinato e ritenuta d’acconto con una presenza forte dell’uso di partita Iva. Dato comprensibile se pensiamo che anche i teatri stabili oramai la mettono come condizione necessaria per metterti a contratto.
Una generazione di lavoratori che continua il percorso formativo anche dopo l’inserimento nel mondo del lavoro, che la ritiene importante, ma che è consapevole che questa non attiva automaticamente possibilità concrete di lavoro.
Una generazione viva, intraprendente, produttiva che però dopo i 39 anni incomincia ad abbandonare( e non c’è da non stupirsi visto le condizioni in cui ha vissuto per 10 anni) che si trova ad affrontare estreme difficoltà di reinserimento, con l’aggravante di non vedersi riconosciuto a livello pensionistico tutto il lavoro svolto dove al copioso dispendio di energie e soldi fa riflesso quello delle istituzioni pensiamo agli investimenti formativi che vanno perduti.

Questo questionario, è una ricchezza, una delle tante che questa generazione di artisti e ancor prima cittadini, da tempo, in molte forme e in vari luoghi d’italia, anche attraverso pratiche di occupazione mette a disposizione della collettività. Una comunità stanca del “Resistere resistere resistere” e che passa “all’Esistere esistere esistere”.
In questa ottica questa ricerca con le sue 90 pagine di dati devo diventare uno strumento politico.
Il primo valore di questa ricerca è quello di dare la prova provata che quello che viene indicato nello Statuto Sociale europeo degli Artisti, non sono solo idee o linee di buon comportamento.
Sono una necessità oggettiva.
La questione del welfare deve essere la base portante di una riforma del sistema culturale.
Per noi la questione del welfare non è solo una questione di diritti: riguarda un modello che pone al centro l’autonomia artistica e la libera scelta di artisti e lavoratori. È un principio di tutela che innesca anche un meccanismo virtuoso di produzione.
Invitiamo tutto il settore a riflettere sull’ipotesi di un nuovo welfare, come indicato dallo Statuto Europeo degli Artisti, in grado di compensare la natura aleatoria e intermittente della professione artistica:
– Diritti minimi dello stato sociale validi per tutti lavoratori: ammortizzatori sociali, malattia, ferie pagate, congedi parentali, liquidazione di fine rapporto, trattamento pensionistico sicuro e dignitoso.
– Maternità universale per tutte, occupate/disoccupate, stabili e precarie o intermittenti
– Riconoscimento dello statuto dell’intermittenza ovvero garanzia continuativa di reddito per i tempi di non lavoro
– Riconoscimento della formazione permanente

Siamo di fronte ad una chiamata di responsabilità, e il silenzio a questo punto è complice e dannoso allo sviluppo di questo settore. Ci vuole un atto di responsabilizzazione dei lavoratori e delle compagnie stesse, che si assumano un’analisi e un processo di discussione su come agire di conseguenza per cambiare questa realtà.
Due sono i punti di vista: chi difende un’identità già costruita e chi lavora per creare le condizioni per cui diverse identità possano essere costruite.
Assumendo questo secondo punto di vista chiediamo una riforma radicale del sistema di finanziamento pubblico partecipata dai lavoratori, basata su un’equa ripartizione delle risorse, su criteri di trasparenza e di qualità:
– Ridefinizione degli obbiettivi dei teatri stabili pubblici:
+ investimenti sul territorio a favore di nuove realtà artistiche
+ programmi di residenze, sostegno ai nuovi talenti
+ pluralità dell’offerta artistica e dei linguaggi (teatro classico, di ricerca, danza contemporanea, …)
+ formazione del pubblico
– Trasparenza dei progetti. Vincolo dei direttori al rispetto gli obbiettivi. Turn over delle cariche.
– Liberare le nomine artistiche dalle ingerenze politiche con l’istituzione di Commissioni di Qualità elette e a termine, formate con criteri di chiara e riconosciuta competenza settoriale e nel mondo della cultura e con la presenza di lavoratori dello spettacolo.
– Indipendenza degli strumenti di verifica.
– Sostegno all’autoimprenditorialità degli artisti.
– Premio alle buone pratiche e sanzioni dei comportamenti scorretti.
– Spazi pubblici per prove, creazione e autoformazione.
– Sostegno ai linguaggi della contemporaneità e alla nuova drammaturgia.

Tutto questo riguardante il welfare e un nuovo modello culturale lo stiamo mettendo in pratica da mesi con un forte gesto di autodeterminazione dentro il Teatro Valle Occupato, che si è trasformato in un laboratorio politico-artistico-culturale la cui importanza viene riconosciuta sempre di più anche a livello internazionale e che ora grazie alla grande partecipazione della cittadinanza naviga verso la futura Fondazione Teatro Valle Bene Comune.

È necessario iniziare a costruire il futuro perché quello che costruiamo ora è quello che ci ritroveremo dopo il disastro.

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