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L’Uomo, la Bestia e la Virtù

17 giugno, 1998 - 00:00
di Luigi Pirandello
scene e costumi: Livio Girivetto
luci: Paolo Sicco
interpreti: Andrea Tidona, Gisella Bein, Giovanni Boni, Lino Spadaro,
Monica Fantini, Marco Pejrolo, Margherita Volo
regia: Lino Spadaro e Giorgio Lanza

 

Cos’è la leggerezza?
Nell’ambito dello spettacolo circense (leggi trapezisti) significa fare un intenso lavoro di muscolazione specifica per poi esibirsi nell’esercizio dando l’impressione di non esprimere alcuna fatica, beffandosi della gravità. Con leggerezza appunto!
Nel teatro di prosa è più o meno la stessa cosa: più il lavoro di muscolazione è ben fatto (e qui si intende il lavoro sul personaggio, la memorizzazione, l’interagire con i colleghi-personaggi, l’ascolto, il produrre energia positiva – a volte è benvenuta anche quella negativa), maggiormente si è in grado di raccontare il testo, lasciando che il fitto intrecciarsi delle parole e quindi il dipanarsi della vicenda scorra appunto con leggerezza. La leggerezza è dunque contigua alla scioltezza (di appartenenza prettamente televisiva) e si può affacciare pericolosamente al poggiolo della superficialità. A volte alleggerire significa semplicemente anteporre, tagliare, posporre, privilegiare il protagonismo di maniera a scapito della vita di altri personaggi, proporre un’unica chiave di lettura al fruitore.
Nel nostro caso si è scelta invece l’integralità della lettura, dove per integralità si intenda la rappresentazione dell’intera commedia concepita da Pirandello senza tagliare né aggiungere una virgola a quanto da Lui scritto. Esempio: (ci sarebbero 80 pagine di copione per dimostrarlo) nella frase “La prego! Perché sa? La cioccolata, a me… mi… mi… non mi… insomma, non mi… come dico?… ecco, sì… mi… mi fa acidità, ecco”, i “mi” che devono trasformarsi da parola scritta in suono devono proprio essere 6 (sei), non uno di più, né uno di meno. E’ come per Mozart, non ci sono note in difetto né in eccesso.
L’integralità dunque si propone con il fascino della pienezza, ma occhieggia il possibile rischio dell’eccessiva durata. Per ovviare a ciò, e rimanere fedeli al proposito, si è reso necessario aumentare la velocità nella scansione della partitura, facendo molta attenzione a non perdere di vista l’intensità e la benedetta e mai dimenticata leggerezza.
Un’ultima cosa: vi siete mai chiesti, guardando una fotografia (fatta in studio e perché no, vecchiotta), quale mondo si agitasse prima e dopo lo scatto? Quale crogiuolo di passioni, violenze e rancori, sopiscono e tumultuano, prima e dopo la cristallizzazione ipocrita del fermo immagine?
Abbiamo lasciato a Pirandello e alla sua lingua sublime il compito di dipanare questo quesito mettendogli al servizio dedizione, amore e, consentiteci, anche un po’ di umiltà.
Buon spettacolo.

Giorgio Lanza

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