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appunti su “Closer”

21 marzo, 2012 - 09:20

 di Mick Middles e Lindsay Roade

Dopo la pubblicazione “Unknouwn Pleasures” erano diventati un gruppo di riferimento ma le condizioni economiche per i Joy Division erano immutate. Durante la registrazione di Closer prendevano 5 sterline al giorno, sufficienti per il cibo e per uscire a bere qualcosa, ma non per spese extra, di certo non coi prezzi di Londra, nemmeno nel 1980.
Una misera kebab house vicino agli appartamenti serviva delle insalate di pollo alla manchesteriana per 1 sterlina, lasciando quel che bastava per un paio di birre nel pub vicino alla fine di ogni sessione.

Anche se Closer sarebbe diventato noto in generale come uno dei classici album “depressi”, Lindsay Reade dice che all’epoca la cosa non era così evidente, per lo meno a coloro che erano piuttosto vicini alla registrazione. Hannett ricorse a un bel po’ di tecnologia potenziata per “rinfrescare” il suono base dei Joy Division, mentre la qualità ipnotica della voce di Ian e le sue canzoni intensamente personali tendevano a spingere l’album in una direzione più riflessiva. Ciò è più evidente che mai in “Isolation”, in cui una melodia piuttosto leggera, viene resa più intensa dalla performance di Ian: se si toglie la sua voce, potrebbe essere quasi un pezzo pop.
Tony Wilson pensava che con questo pezzo martin avesse creato qualcosa di rivoluzionario. “Quel che ha fato Martin, cosa di cui nessuno gli riconosce il merito, è stato inventare la musica, quella digitale. Aveva un’idea precisa. Aveva lavorato con i primi sintetizzatori e così, con i Joy Division prima e soprattutto con i New Order dopo, cominciò a collegare e a connettere i primi computer alle tastiere. Martin lo fece e per la prima volta nella storia sono comparsi ritmo e melodia su strumenti diversi. Si può sentire nella canzone intitolata “Isolation” dei Joy Division. In questo brano il ritmo proviene dalla tastiera.

Nel 1996 Peter Hook disse “Eravamo piuttosto felici all’epoca della registrazione di Closer. Sapevamo di avere davvero un buon album era raro che una band riuscisse a fare un secondo album veramente buono, perché di solito vengono messi insieme in velocità, mentre a volte si impiegano anni per realizzare il primo. Ad ogni modo noi eravamo molto sicuri. Sapevamo come ci si muoveva in studio e con Martin eravamo a nostro agio.
Ha rivelato Hooky “Ricordo quando gli U2 vennero in studio mentre stavamo lavorando a Closer. Gli U2 erano i migliori imitatori dei Joy Division. Erano molto “joydivisioniani”. Morivano dalla voglia di incontrare il gruppo e volevano che Martin Hannett si occupasse del loro prossimo disco; vennero a trovarci e, mio Dio, erano come dei bambini. Io avevo solo ventidue anni e loro sedici…li liquidai. Le persone si dimenticano in fretta, e all’improvviso ecco che sono uno dei gruppi più famosi al mondo… cazzo, forse avrei dovuto essere gentile con loro”.
Scaltri, percettivi e molto ambiziosi, gli U2 basarono indubbiamente le loro registrazioni di svolta sul lato più rock dei Joy Division. Curiosamente, forse gli U2, malgrado la loro maestria nello scrivere canzoni, non avevano il medesimo desiderio di innovazione dei Joy Division e i due sentieri musicali delle band si separarono quando questi ultimi cominciarono a sperimentare intensamente le possibilità dei sintetizzatori.

Adoro “Eternal” e “Decades” e ricordo quasi tutte le parole, nonostante siano quasi vent’anni che non le ascolto. Ricordo Ian che le cantava molto tardi la sera, concentrato e con gli occhi chiusi. A volte mi sentivo privilegiata a essere lì e cercavo di lasciarlo fare come voleva e di non intromettermi, limitandomi a osservare. Penso che la gente pretenda troppo dagli artisti e dovrebbe invece essere grata di ricevere il grande dono della loro musica, di un libro, di un dipinto o dell’arte in generale. Hanno bisogno di aria, di respirare, della loro libertà.
Quell’ultimo brano – i giovani con il fardello sulle spalle – ricorda il modo in cui Ian parlava negli ultimi giorni, con quella stessa voce sommessa, perché era talmente stanco, confuso e triste…”.
La tecnica in studio Ian era sicuramente migliorata. Aveva, infatti, sviluppato la capacità di inserirsi nella melodia e di proiettare se stesso nel cuore della canzone, a volte allacciandosi direttamente all’atmosfera, come se le canzoni fossero state lì ad attenderlo, cosa per nulla semplice. Peter Hook, che guardava Ian lavorare in studio, in seguito avrebbe commentato così questo suo talento: “…l’opera di un maestro”.
Il fatto che Closer sia un album creato da quattro ventenni per nulla sofisticati pare contraddire la sua pura eleganza, immutata anche dopo trent’anni.

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