Assemblea Teatro
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INTERVISTA ALL'AUTISTA DI NERUDA

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Due anni fa, in occasione del primo tour dello spettacolo "Il funerale di Neruda", realizzato in Cile Assemblea Teatro ha incontrato Manuel Araya. Renzo Sicco fu il primo ad ottenere con l'ex autista di Neruda una lunga intervista (che volentieri ripubblichiamo).
Poche settimane dopo, proprio Sicco, favorì l'incontro tra Araya e Gabriele Romagnoli che pubblicò su Vanity Fair un reportage rivelatore.
Ora il Partito Comunista cileno, a due anni di distanza, avanza e vede accolta la richiesta di riaprire il caso e fare chiarezza sulla morte del poeta.
In diverse occasioni il percorso di lavoro di Assemblea Teatro ha incrociato la storia, in questo caso l'ha anticipata ridando, come chiedeva Bertold Brecht, spazio al dubbio e voce ad un uomo dimenticato.


Intervista a Manuel Araya, autista di Neruda

E' un fiume in piena, Manuel Araya, quando alle 12 iniziamo il nostro colloquio che non terminerà prima delle 16, in quest'ultimo venerdì di marzo.
Poche le domande possibili o necessarie perché la memoria si apre in fotografie successive come una matrioska. C'è un bisogno rabbioso di buttar fuori una storia compressa dentro ad un lungo silenzio.
Era il giovane autista di Neruda, don Manuel, un distinto signore sessantenne. Allora di anni ne aveva 26. Venticinque quando conobbe Neruda o, meglio, quando il Partito Comunista di cui era militante e lo stesso presidente Allende lo assegnano nel novembre '72 al rientro di Neruda dalla Francia dove il poeta era stato ambasciatore, quale autista, e visto il clima montante anche guardia del corpo.
Manuel è nato a San Antonio, importante porto della costa cilena poco distante da Isla Negra e Neruda lo aveva già visto in diverse occasioni pubbliche e non lo aveva apprezzato. Lo trovava vecchio e di troppe parole. Mai avrebbe pensato di diventarne segretario e di stringere con lui un rapporto così intenso, amicale e di confidenza profonda da sentirsi quasi un figlio del poeta. La sua storia con Pablo si chiude il 23 settembre 1973 quando gli viene chiesto da un medico della Clinica Santa Maria, dove Neruda è ricoverato, di andare a prendere in una farmacia un determinato medicinale.
La Clinica è vicina al centro di Santiago ma il medico indirizza il giovane Manuel ad una farmacia periferica. Se è una trappola o l'occasione attesa dai militari che stanno pedinando il giovane comunista, difficile ricostruirlo. Ciò che è certo è che poco dopo due macchine, bloccano l'auto di Neruda, e il giovane Manuel viene portato in commissariato e dopo i primi interrogatori e torture trascinato allo Stadio Nazionale, la gigantesca prigione all'aria aperta del golpe di Pinochet. Alle 22 dello stesso giorno nella Clinica Santa Maria, Neruda muore. Il mattino dopo sarebbe dovuto partire con un aereo che il Presidente del Mexico, Luis Echevarria, aveva fatto giungere appositamente a Santiago.
Manuel saprà della morte di Neruda solo una decina di giorni dopo quanto un prelato riuscirà a fargli visita sempre allo stadio dove continua ad essere detenuto, torturato e interrogato brutalmente. Bloccato da pesanti catene di ferro deve fare il giro intero dello stadio prima della sessione di tortura affinché gli altri detenuti lo vedano. Tenuto in isolamento, senza cibo, con le gambe spezzate, ridotto a 33 chili, cinquanta giorni dopo, incapace di camminare, viene rilasciato appena oltre l'ingresso dello stadio poco dopo la mezzanotte. Resterà abbandonato a terra sino al mattino quando grazie all'aiuto di alcune persone riuscirà prima a raggiungere la stazione degli autobus e quindi, con un pullman, San Antonio, dove la famiglia si occuperà di lui per tre anni, fino a quando per uno scambio di persone verrà sequestrato, in vece sua, uno dei fratelli che a tutt'oggi risulta desaparecido.

Neruda l'11 settembre, attraverso una radio a transistor prende conoscenza del golpe e del bombardamento della Moneda da una emittente argentina. Chiama subito Manuel, non ha dubbi, capisce la gravità e gli confida che ormai la situazione è uguale a quella della guerra civile spagnola e che il suo destino è parallelo a quello del suo amico Federico Garcia Lorca. Chiede a Manuel se lo abbandonerà. Deciso Manuel lo rassicura, non se ne andrà in nessun caso, starà al suo fianco fino alla morte, se necessario, compiendo la missione che gli è stata assegnata. Ma è certo che "questo non sarà necessario perché Pablo Neruda è un Premio Nobel, intoccabile."

Manuel è giovane, convinto militante comunista e nell'anno di convivenza con Pablo ha maturato un affetto che lo rende fedele. E' certo della invulnerabilità del Poeta e di conseguenza anche sua. Con questa fede irriducibile affronta le due perquisizioni della casa di Isla Negra del 12 settembre, quella dell'esercito molto rude, e quella più elegante, ma di mano non meno pesante, della marina militare.
Affronta i giorni di isolamento tra il 13 e il 18 a Isla Negra, quando nessuno, se non gli ambasciatori di Francia e Messico raggiungono al telefono Neruda. Il telefono è comunque isolato, può solo ricevere e Manuel rischia in strada per raggiungere l'unico telefono pubblico ogni volta che Pablo gli passa un foglio con un numero e la richiesta di un urgente possibile contatto. Da solo con Matilde affronta il 19 settembre, il trasporto di Pablo a Santiago alla Clinica Santa Maria. Vede lo sconcerto del poeta, ogni volta che ai molteplici posti di blocco è costretto a scendere dall'ambulanza e ad attendere in piedi o sdraiato a terra fino a che Manuel non ha scaricato tutti i bagagli e la perquisizione scrupolosa dei militari è stata compiuta. Affronta il viaggio tra molteplici pericoli e posti di blocco quando, ricorda con Matilde il 23 torna a Isla Negra per prendere i bagagli necessari alla partenza e alla salvezza in Messico.
Con la stessa fede irriducibile affronta il silenzio devastante di Santiago prima del coprifuoco e si lancia alla farmacia che gli è stata indicata. E' intoccabile. Il Poeta è un nobel, lui è l'autista personale, nessuno oserà molestarlo. Non è così'. Il golpe è la guerra civile e per nessuno c'è lasciapassare. Manuel alle 19 è bloccato in una strada di Santiago. La sua vita con Pablo si ferma quel 23 settembre 1973.

Manuel ha visto Pablo alle 8 del mattino prima di partire con Matilde. Il poeta stava bene, "non aveva la faccia di un uomo che deve morire". Ma com'è la faccia di un uomo che sta per morire? Questa immagine lo tormenterà tutti i restanti giorni della sua vita. Non ha mantenuto la promessa: morire prima o comunque al fianco del suo Poeta. Cos'è successo poi nella clinica Santa Maria, in quelle ore in cui lui e Matilde erano in viaggio per e da Isla Negra e solo Laurita rimase con Pablo. E un'altra domanda che tormenta Manuel. Perché a Isla Negra ricorda una telefonata di Pablo che chiede loro di tornare al più presto. Matilde è preoccupata, ha colto nella voce di Pablo un'ansia più pressante del solito.
Alle 17 al loro arrivo a Santiago, Pablo sta male. Necessario intervenire, necessario un medicinale che scarseggia, necessario reperirlo in una particolare farmacia. Necessario, ma la trappola scatta e Manuel non tornerà più alla Clinica Santa Maria. Matilde veglierà il corpo di Neruda, che non è composto in una camera ardente, ma abbandonato in un corridoio dei sotterranei dell'ospedale.
Solo un vescovo amico di Pablo presterà aiuto negli anni successivi a Manuel, quando anche la famiglia, alla scomparsa del fratello, gli farà colpa della sua militanza che tanto male ha procurato a tutti loro. Nessuno del Partito Comunista giungerà in soccorso al giovane Manuel e Manuel vivrà lo stesso pesante senso di abbandono vissuto da Neruda quando nessuno, né una sola chiamata, ruppero la solitudine di Isla Negra. Ma cosa poteva fare il Partito Comunista dopo il golpe? Il colpo è stato devastante, lo stordimento totale. I militari bombardano, sparano, uccidono, arrestano, torturano. Migliaia di militanti sono in fuga, alla macchia, già clandestini.
Neruda si sente abbandonato, in solitudine. Manuel si sente abbandonato e totalmente dimenticato per 35 anni, fino a quando attraverso lo spettacolo di una compagnia italiana dedicato a quei giorni e al funerale di Neruda, dove si accenna anche al suo arresto, è invitato per una replica che si tiene proprio a Isla Negra. E' il suo reingresso nella casa del Poeta, dove nessuno lo ha più invitato, neppure quando i resti di Neruda sono stati trasferiti insieme a quelli di Matilde da Santiago per essere tumulati di fronte all'oceano, come Pablo aveva desiderato.
Ha paura di morire dall'emozione, Manuel, teme che il suo cuore non regga! Ma come perdere l'occasione di ritornare nella casa dove ha vissuto con Pablo per oltre un anno? Aveva 26 anni, l'ultimo giorno qui, quel 23 settembre, adesso ne ha 62. Il Cile è transitato nella dittatura più lunga e dura del latinoamerica, nella seconda metà del 900. Dal sogno solidale di Unidad Popular alla paura, all'umiliazione, la vergogna, il dolore, il silenzio. Soprattutto il silenzio è stato un tempo impossibile. Congela la vita, questo silenzio, ci puoi impazzire in questo silenzio, col suo buio, le domande prive di risposte che diventano ossessioni. Manuel non sa distrarsi, non sa più abbandonare le ossessioni, ecco perché adesso rotta la diga le parole esondano, dilagano.

"Era capriccioso come un bambino, a volte, Pablo. Mi faceva arrabbiare". Lo dice e finalmente sul suo viso teso si disegna un sorriso. Come una sera che salito in macchina volle mangiare melanzane. "Ma non è stagione don Pablo?". Non ci fu modo di convincerlo. Viaggiammo sino a Valparaiso dove, dopo molti ristoranti in cui l'esito fu negativo, ne trovammo uno il cui proprietario riuscì a far riaprire un negozio per avere due striminzite melanzane.
Ma a volte Pablo si abbandonava e raccontava dell'infanzia infelice senza madre, e del padre che lo voleva ferroviere e che non capiva questa strana mania del giovane Neruda di scrivere. "Don Pablo anche mio padre non voleva che fossi qui con Lei. I padri non capiscono e i figli fanno altre strade."

In una strada di Santiago si sono fermate per sempre le velleità di essere intoccabile di Manuel, il segretario del Premio Nobel. Neruda non è mai giunto a Ciudad de Mexico. Non è neppure mai partito da Santiago. E il Cile dopo anni di buio è transitato negli anni dell'ombra democratica, del benessere o della povertà neoliberista ma volontariamente o necessariamente della dimenticanza e della immunità.

Gli europei fanno teatro con la storia e fanno riemergere i giorni bui dall'oblio del presente. Manuel va al suo computer e scrive in Italia che è pronto a parlare perché lo spettacolo gli ha prodotto dolore, ha riaperto ferite e la memoria un'altra volta si è messa a correre. Ha bisogno e desiderio di parlare, di raccontare Manuel, adesso.
La solitudine da alla testa, è un pensiero fisso, è come un tarlo e rode, rode la mente. Il pensiero fisso di Manuel è quella promessa non mantenuta: "Sono al suo fianco don Pablo e morirò per lei se è il caso..." Oggi è il 2009 don Manuel è vivo e don Pablo è morto quel 23 settembre, tre ore dopo l'arresto del "giovane autista".
Donna Matilde, sola, ha dovuto affrontare tutto.
Dolore, paura, solitudine, la Chascona devastata, il silenzio del coprifuoco a Santiago, Isla Negra ormai una casa sequestrata. Lui, Manuel, nello stadio non parlava, né dopo le raffiche di mitra ai polpacci, né sotto le scariche di corrente elettrica della picana.
Cosa poteva dire Manuel? Il poeta era morto, il Cile di Unidad Popolare era morto, i sogni di tanti giovani come lui, ammassati e torturati nello stadio erano morti. Dentro la testa un solo grande dubbio, perché quella farmacia? Perché? Quel medico mi ha venduto? E allora eccone nascere un'altra di domanda. Pablo al mattino sorrideva, non era un uomo che voleva morire, ma il 24 settembre non è salito sull'aereo che lo avrebbe portato in Messico, via dal suo Cile ormai un paese dell'orrore. Don Pablo è morto.
Dal 19 al 22 settembre lui gli era sempre rimasto accanto, anche la notte. Dormiva su di una sedia. Cosa è accaduto alla Clinica in quelle nove ore di assenza del 23 settembre? Perché al loro ritorno da Isla Negra Pablo era in cattive condizioni? Gira e rigira nel silenzio che si fa grande, nel dolore che devasta, nella vita che quasi quasi sfugge via.. resta solo quella domanda. Come ho potuto non salvare Pablo? Come ho potuto mancare la mia missione?

Il filosofo tedesco, Wilhelm Dilthey, teorizza che la conoscenza storica è possibile solo quando si trasforma in conoscenza autobiografica. In altri termini la conoscenza storica deve passare attraverso l'esperienza del soggetto, attraverso le ondate di angoscia o di sollievo che ci hanno segnato.
Se è così, è davvero importante, a prescindere dal giudizio che ce ne vogliamo fare, quanto racconta Manuel.
Il 23 settembre la sua vita è stata travolta da un'onda imponente, uno tsunami che solo 36 anni dopo, col suo ritorno alla casa di Isla Negra per partecipare all'opera teatrale "Il funerale di Neruda" presentato dalla compagnia italiana Assemblea Teatro, ha trovato un balsamo.

Nella casa del dittatore Augusto Pinochet ci sono, o ci sono stati, diversi libri di Neruda autografati da Pablo. Glieli ha fatti autografare e pervenire il Generale Carlos Prats, lo stesso che Pinochet, attraverso i propri servizi segreti farà dinamitare a Buenos Aires nel 1974.
Se Pinochet non ha timore a suggerire ai suoi militari di lasciare in vita il Presidente Allende, giacché una volta uscito dal Palazzo della Moneda verrà caricato su di un vecchio aereo che sarà fatto esplodere in volo in una falsa liberazione verso qualche paese amico perché dovrebbe dubitare ad uccidere Neruda?
Se Pinochet, attraverso la Dina, i feroci servizi segreti che dal novembre del 1973 iniziano ad operare riesce a raggiungere e ad uccidere il Generale Carlos Prats, uno dei pochi militari fedeli alla dignità costituzionale dell'esercito, perché non dovrebbe annientare un Nobel comunista prima della sua incomoda partenza verso il Messico?
Se Pinochet, attraverso la Dina fa uccidere nel 1982, proprio nella Clinica Santa Maria e proprio attraverso successive iniezioni di tallio il democristiano Eduardo Frei, il leader dell'opposizione, perché non avrebbe dovuto farlo con Neruda.
Proprio quest'ultimo avvenimento venuto in luce nel 2005 attraverso uno scandalo stampa, la riesumazione e l'autopsia del corpo di Frei e le prove certe che quanto emerso era realmente accaduto, deve aver offerto risposte ai dubbi che Manuel covava dentro da anni.

Quando uscivamo in macchina Don Pablo mi diceva "Oggi voglio scrivere. Manuel accompagnami nel tal posto, ma non dimenticare di prendere la medicina!". Diceva così a proposito di una fiaschetta che veniva riempita con buon wisky scozzese. Arrivavamo, scriveva un po', poi mi diceva con quella sua voce particolare "Manuel, passami la medicina." Viaggiavamo con una Citroen ds, con le famose sospensioni idrauliche che la rendevano molto maneggevole nelle strade sterrate del Cile di quegli anni.
Era l'unico esemplare in Cile. Ho una foto con quella macchina, è l'unica che mi è rimasta, è una foto in bianco e nero, nel cortile della casa di Isla Negra.

Quando gli viene diagnosticato il tumore alla prostata, Neruda inizierà la terapia presso l'ospedale di Valparaiso. In Cile all'epoca il trattamento consiste nella cobaltoterapia. E' un metodo utile ma arcaico.
In Francia Neruda ha conservato molti amici. Alcuni tra questi informati delle condizioni fisiche di Pablo, gli inviano un medicamento più avanzato, un trattamento in fiale per iniezioni. L'itinerario non avviene per vie farmaceutiche ma bensì in valigia diplomatica da Parigi direttamente all'ufficio di Allende e da lì ad Isla Negra.
L'11 settembre interrompe, ovviamente, anche questo flusso. Diventa impossibile proseguire la terapia e anche solo accedere a Valparaiso. Le cure cessano di colpo. Restano solo i lenitivi del dolore e quella troppo misteriosa iniezione nel vuoto delle ore del 23 settembre alla Clinica Santa Maria.

A cosa serve pensare? Quando non ci sono vie d'uscita la testa diventa il nemico numero uno. Tanti in Cile si sono trovati così, obbligati a dimenticare. Buttare via i pensieri è stato l'unico modo per poter sopravvivere dentro il buio degli anni della dittatura ed è continuato anche in molti di quelli successivi.
Manuel trova un lavoro in un'impresa di pullman di grandi percorsi, su e giù lungo i 4000 chilometri del Cile.
Ma lui, l'autista di Neruda, non conduce più. Sta chiuso in un ufficio ad occuparsi di amministrazione, numeri, tanti numeri al posto delle strade e dei pensieri.
"La dittatura fu da subito selvaggia", così immediatamente il destino di molti dirigenti politici, intellettuali, artisti e di molti lavoratori divenne incerto. Chi non è stato ucciso, chi non è potuto fuggire.. diventando esule oltre frontiera, ha dovuto dimenticare. Cancellare è stato l'unico salvacondotto per la sopravvivenza.

Poi un'inattesa vittoria al referendum dell '88 ha fatto tornare un barlume di democrazia. Nulla è cambiato realmente giacché i militari hanno continuato, più che a controllare, a presidiare il paese. Poi il dittatore è stato arrestato a Londra. Allora un vero terremoto ha spalancato crepe nella ex dittatura. La democrazia ha preso fiato ma Pinochet rientrato in patria, all'aeroporto di Santiago si è alzato in piedi. E' stato il segno tangibile che il cammino doveva essere ancora lungo. Le crepe si allargano ma solo la morte del dittatore e il venire a galla degli scandali economici, renderanno ingombrante, anche per la destra cilena, la sua figura. Intanto una ex detenuta politica, Michelle Bachelet, incarcerata proprio a Villa Grimaldi, la prigione clandestina del dittatore, è eletta Presidente. Prima donna in latinoamerica, prima tra gli "sconfitti" degli anni '70 a riprendere in mano il sogno.
Non è però più il tempo dei sogni, le utopie sono cancellate e conta il mercato, vince la concretezza. Intanto a Manuel è stata riconosciuta almeno una dignitosa pensione di Stato che se non cancella dolori e umiliazioni trascorsi, concede almeno una piccola certezza nel presente, condizione utile per poter tornare a pensare.

"Alle 16,00, quel 23 settembre, io e Matilde iniziamo il ritorno da Isla Negra a Santiago. Arrivammo alla Clinica Santa Maria intorno alle 18.45. Incontrammo il poeta in cattive condizioni. Questo ci sorprese molto, dato che lo avevamo lasciato in buona salute.
Era molto preoccupato che non ci fossimo dimenticati nessuna delle cose di cui avrebbe avuto bisogno in Messico e ci disse che dopo la nostra partenza dalla Clinica, nella sua stanza era entrato un medico, che gli aveva fatto un'iniezione ed era uscito senza dire nulla. A Matilde e a me parve molto strano dato che le cure di don Pablo, fino a quel momento, non prevedevano iniezioni, ma pastiglie o capsule da somministrarsi in forma orale.
Stavamo commentando l'accaduto quando improvvisamente entrò nella stanza un medico dai capelli scuri, alto circa un metro e ottanta, che ci segnalò la necessità di comprare una medicina, che doveva essere somministrata con urgenza a don Pablo. Aggiunse che essendo io l'incaricato della sicurezza del Poeta era mio obbligo reperirla. Nell'istante in cui mi resi disponibile curiosamente lo stesso medico mi disse che non l'avrei trovata nelle farmacie del centro e mi suggerì una farmacia di calle Vibaceta vicino a Indipendencia.
Presi le chiavi dell'auto di proprietà di Neruda, una Fiat 125 bianca, e senza riflettere mi diressi più in fretta possibile alla farmacia indicata all'angolo con calle Santa Maria.
Non mi accorsi che mi stavano seguendo e, quasi giunto al ponte Manuel Rodriguez, due veicoli mi avvicinarono e mi chiusero. Da ognuna delle due macchine uscirono tre individui che senza permettermi di dire nulla mi fecero scendere dall'auto a pugni e calci. Mi picchiarono in maniera brutale poi mi portarono in Commissariato, proprio in calle Vibaceta, dove continuarono a colpirmi senza alcuna pietà, per puro gusto, non lo so…
Riuscii a dire che ero il segretario di Neruda e che stavo andando, su richiesta dei medici, a comperare un medicinale di cui c'era grande urgenza.
Non mi ascoltarono! Come sordi o ciechi continuarono a ripetermi che avrebbero ucciso tutti i comunisti e che esigevano rivelassi nomi e nascondigli dei principali dirigenti del Partito. Io non sapevo dove si trovavano e anche l'avessi saputo non l'avrei rivelato.
La brutalità fu ancora più grande! Non mi ascoltavano, non gli importava che Neruda fosse malato, che avesse necessità di quella medicina.
Dal commissariato fui trasportato allo Stadio Nazionale e lì proseguirono con torture orrende per molte ore consecutive! Non so quante! So che non ero solo, che altri essere umani, come me, erano torturati nel mio stesso modo, spietatamente, brutalmente, con enorme crudeltà.
Il Cardinale Silva Henríquez che era molto preoccupato della salute e dell'integrità fisica di Neruda, si rese conto che ero andato in cerca delle medicine e che erano passate troppe ore senza che fossi tornato alla Clinica.
Intuì che era accaduto qualcosa e decise di mettersi alla mia ricerca.
Giacché non comparivo in nessuna delle liste degli arrestati, utilizzò tutti i mezzi che erano a sua disposizione.
Se non fosse intervenuto, probabilmente sarei stato una vittima in più del regime militare, sarei diventato un altro detenuto desaparecido".

Per Manuel trascorsero così più di 30 giorni di abbandono e torture, un tempo totalmente diverso da quello dell'ultimo anno trascorso al fianco di uno degli intellettuali più prestigiosi dell'America Latina e del mondo intero. Un poeta ed un uomo infaticabile, capace di realizzare tante attività che gli procurarono allegria, forza e anche salute.
La mattina dell'11 settembre Neruda si trovava ad Isla Negra anche perché proprio quel giorno era previsto l'avvio di un nuovo progetto. Si sarebbe dovuta porre la prima pietra della costruzione di una casa per gli scrittori sul promontorio di Cantalao.
Era un progetto in cui Neruda aveva deciso di investire parte dei soldi ottenuti col Nobel ma anche di quelli avuti tramite i diritti d'autore. "Troppa gente scrive tutta la vita, poi quando è vecchio non ha neppure un posto dove dormire". Questo era il suo pensiero e una casa ed una fondazione erano per lui l'impegno in questa direzione.

Non ci furono cerimonie, la prima pietra rimase inutilizzata. Il progetto fu totalmente vanificato dal bombardamento della Moneda. "Così nella casa di Isla Negra rimanemmo solo quattro persone. Pablo, Matilde, Laurita ed io. Pablo volle che gli altri inservienti rientrassero alle loro case. Quindi il 19 arrivò una vecchia ambulanza che superò i controlli più imbecilli che io abbia mai visto" dice con rabbia Manuel. "Una clinica privata a Santiago era l'unico modo perché Neruda fosse davvero protetto".
Così pensavano.

Fissando Manuel mentre continua a gettare parole, penso che la curiosità per una persona è forse la sola forma d'amore di cui un uomo riesca ad essere onestamente capace.
A volte restano i lividi nell'anima e manca qualcosa, perché forse dettagli preziosi si sono persi nel lungo scorrere del tempo o si sono arbitrariamente alterati nella ripetitività della memoria.
Proprio i dettagli hanno grande importanza perché in un certo senso fungono da adesivo, fissando la materia essenziale dei ricordi.

Renzo Sicco
Isla Negra
Venerdì 27 marzo 2009




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