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"After Punk Revolution"

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In via San Donato a Torino un giorno ci è capitato di veder rinascere, a causa forse di uno di quegli incalliti bambini che si divertono a staccare poster sventolanti, un manifesto quasi intero di "After Punk Revolution". Era rimasto li nascosto sotto la coltre, come una reliquia, per otto anni, un reperto nell'archeologia dello spettacolo, ma a noi riportava a galla un mondo intero di ricordi di un periodo unico.
"After" è stato uno spettacolo pazzo, la cui esistenza dalle origini alla fine ha rappresentato il non-sense. La prima volta che l'abbiamo presentato, era febbraio 1981 in piazza Ferretto a Mestre, un folto gruppo di "timidi" punk nostrani aveva chiesto il permesso di poter ringraziare a fine spettacolo "alla nostra maniera" e così era finita in una colossale guerra a colpi di carote, patate, cavoli e altre verdure che a chili volavano fra il palco e la piazza.
L'ultima rappresentazione, cinque anni dopo in Spagna a Tàrraga nella notte - a las tres de la madrugada - con oltre 3.000 spettatori appesi ai balconi, alle finestre, in ogni dove. Guido Ruffa con le frasi più difficili del testo in spagnolo scritte sul palco.
"After Punk Revolution" è nato da una commissione dalla Biennale di Venezia per il "Carnevale della Ragione", e da una febbre a quaranta consumata in un letto guardando dalla finestra gli alberi spogli del parco vicino a casa. Ha rappresentato per Assemblea Teatro la prima vera sfida alla nostra città. Infatti a fine novembre 1981 apparvero gli accecanti manifesti blu e fuxia che annunciavano l'"ipotetico quanto immaginario incontro tra Wolfgang Amadeus Mozart e Johnny Rotten" al Teatro Smeraldo per ben dodici serate.
Nessuno dei gruppi indipendenti di allora aveva mai osato tanto e noi semisconosciuti ci provavamo, per di più in un teatro di periferia, da seicento posti senza alcuna promozione veicolata in una rassegna o da qualcuno dei "controllori" del mercato torinese. Tutti indicarono e sottolinearono la nostra follia. Noi, carichi di quell'ingenuità, che per fortuna negli anni non ci ha abbandonati, andammo allo "sbaraglio". Come non farlo. Il lavoro di "After" ci aveva assolutamente esaltati.
Era il periodo in cui "fumavamo" ancora, l'ultimo per molti di noi, poi le droghe sono completamente scomparse dal nostro campionario; ciò nonostante ancora oggi alla fine di molti spettacoli c'è qualcuno che chiede quanto ci siamo sballati prima di entrare in scena "perchè fusi così se ne vedono pochi". Allora "fumati" lo eravamo spesso, ma sempre solo durante le prove. Mettevamo insieme demenzialità una dietro l'altra e ogni occasione era buona per ridere, da Marina Vannelli che non ricordandosi le battute puttanescamente le scriveva sulla veletta del cappello di donna Elvira, a Guido che benché giovane e aitante anziché saltare a pié pari sul tavolo riusciva a schiantarvicisi contro, procurandosi paurosi lividi. E di lividi erano pieni tutti, perché la scena del pogo, il violentissimo ballo dei punk, finiva sempre per essere presa troppo sul serio.
Dopo venti giorni di prove a base di Sex Pistols, Lidia Lunch, Damned, Stranglers, DNA, Iggy & the Stooges, Clash e chi più ne ha più ne metta, non ne potevamo più nemmeno noi figuratevi il padrone di casa de il Mulino, la nostra sala prove, abituato al massimo ai nostri Ranieri-Morandi. Il Mulino in quel periodo era uno spazio aperto al transito di decine di amici che passavano letteralmente ogni minuto di tempo libero a vedere e rivedere le travolgenti prove di quello che di lì a pochi giorni sarebbe diventato uno degli eventi della stagione torinese.
Contro tutte le previsioni, la "prima" andò esaurita. Tutte le sere il flusso fu altissimo. Fummo costretti a prorogare per tre giorni anche se eravamo sotto Natale.
L'anno dopo repliche per altri quindici giorni, ed ancora un successo di pubblico sopra le aspettative. Per qualcuno ancora oggi "After" rimane il nostro migliore lavoro, per altri una delle più grandi schifezze prodotte a Torino. Era così. Piaceva oppure disgustava. Da quando partivano le prime note di Heroes, cantata da David Bowie, a quando il funerale massonico annunciava la morte parallela di Mozart e di Sid Vicious ci divertivamo alla follia.
"After" era sostenuto da una Donatella Ruffa pazzesca, attrice, cantante e fonico al tempo stesso, con una carica da far paura. Forse senza di lei non sarebbe potuto esistere, certamente non sarebbe stato lo stesso. "Se questo è il teatro, allora vengo a vedere gli spettacoli" dicevano le centinaia di punk e giovani che non avevano mai visto niente, e tanto bastava a darci la carica. Era quello che volevamo: mettere nel teatro la dirompente forza della cultura rock, per farlo nuovamente interloquire con i giovanissimi.
C'erano comunque anche i signori attempati che chiedevano registrazioni o nastri di Devo, Ultravox, Television, Talking Heads, cioè di quelle formazioni punk più colte. Venivano anche gli osservatori teatrali che dicevano che era "uno spettacolo ingenuo, però interessante e che lavorandoci sicuramente sarebbe diventato un buon prodotto".
Lo ripetono ancora oggi ad ogni nuova produzione e sarà così anche per la prossima. Ma in quegli anni, noi gli davamo ancora credito ed eravamo felici perché le nostre intuizioni erano state capite. Chi veramente ci aveva promosso era il pubblico che da allora non ci avrebbe mai più abbandonato regalandoci un affetto e un'attenzione costante negli anni, capace di prove incredibili. Da Gijon a Saint-Raphael, da Santiago a Budapest, in tante occasioni abbiamo trovato torinesi partiti da punti lontani, in orari assurdi, per venirci a vedere.
Siamo diventati per molti, da "After" in poi, un po' volendolo, un po' senza neppure accorgercene, una bandiera di chi vuole ciò che ancora non c'è ma è già tendenza. Così questi posters dai nostri muri sono arrivati a quelli di Barcellona, Parigi, Messico City, Budapest, Copenaghen, Tunisi, Porto, Glasgow, Amsterdam, e San Paolo per gridare la stessa voglia matta delle notti di "After" forse più maturi, ma sempre volontariamente ingenui.

Renzo Sicco



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