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Viaggio con l’auto(re)

24 luglio, 2017 - 17:29

Chi l’avrebbe mai detto che a Torre Pellice, per chi non lo sapesse si legge “paese ai piedi dei monti”, ci fossero così tanti appassionati di mare?
Io no di certo, essendo quello una delle due cose che meno mi entusiasma insieme al gioco del calcio, per cui è possibile comprendere il mio stupore quando, dopo una mezz’oretta, i programmi di sala che avevo preparato sono andati esauriti e mi sono dovuto scusare con i nuovi – tanti – arrivati dando loro soltanto un depliant della nostra rassegna “Attorno alla Fortezza”.
Il mare può lasciare indifferenti, come accade al sottoscritto, ma non se viene popolato dai pensieri e dai racconti.

A Torre Pellice, però, non c’era nessun personaggio “figo” in cui immedesimarsi. Niente ardore di Sandokan, niente tetraggine di Emilio il Corsaro Nero, niente astuzia di Long John Silver, solo gli strani pensieri di Fricina, una persona da cui il senso comune vorrebbe che si prendessero le distanze, dal momento che, se qualcuno trovasse punti in comune tra il proprio modo di fare e quello del cosiddetto “scemo del villaggio”, sicuramente non andrebbe a vantarsene in giro.

Ma ancora una volta, abbiamo fatto i conti senza l’oste, che si legge “autore”, che si traduce Paolo Taggi.

Un uomo, per capirci, che ti racconta di aver creato programmi televisivi (Per un pugno di Libri e l’embrione de La prova del cuoco, giusto due programmini poco seguiti…) con la naturalezza e la semplicità con cui si può timbrare un biglietto sul bus. (se non si considera il bus pieno di persone, allora è impresa epica, e se si è disposti a sorvolare sul paragone, decisamente poco riuscito, che mi è venuto in mente. Allora fate così: sostituite il timbro del biglietto con l’azione più quotidiana che vi riesce di concepire. Giusto per darvi l’idea.)

Da un personaggio di questo livello, che, con la solita disarmante semplicità ti racconta di aver dialogato con la Signora Sellerio e Sciascia, non puoi che aspettarti l’impensabile: riuscire a nobilitare anche figure bistrattate come potrebbero essere, appunto, gli “scemi del villaggio” (e ora che ho reso l’idea, giuro che non userò più questa denominazione).

Già, perché non si lascia andare a buonismi triti e già visti: con la stessa semplicità con cui ti parla delle sue imprese, ti racconta il mondo visto con gli occhi del Fricina, a cui basta un colore per viaggiare con la fantasia, che parla con i gabbiani e che si dimentica di gettare le reti quando passano i pesci. Ed ecco che arrivi quasi a dispiacerti di non riuscire ad immedesimarti in lui, e ti scopri a pensare che ti piacerebbe avere il coraggio di Sandokan e la fantasia di Fricina e in un attimo, Paolo Taggi ti ha lanciato l’ultimo degli ultimi nell’olimpo degli eroi.

Quando poi scopri che si tratta di un personaggio realmente esistito, non puoi che battere le mani a questo nuovo eroe (e se qui non state più capendo se mi stia riferendo a Taggi o a Fricina, sappiate che è voluto) che, come tutti gli eroi, non compie imprese epiche perché ha i poteri del dio, ma, semplicemente, trionfa in quel che fa perché è un uomo che usa al meglio le proprie capacità.

P.S.: Ieri notte, al ritorno dallo spettacolo, ho riportato a casa Renzo Sicco, Angelo Scarafiotti (attore superlativo), Mario (non so il cognome, ma esperto d’arte proveniente da Malta) e lo stesso Paolo Taggi. Mi han lasciato nella macchina così tanta cultura che, quando, una volta scesi, un tizio mi ha tagliato la strada, mi sono trovato a insultarlo citando a memoria la Catilinaria di Cicerone. Ora tengo la radio fissa sulle notizie di gossip così riabbasso il livello per evitare che l’auto mi esploda al prossimo viaggio.

Stefano

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