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Un pensiero di Renzo Sicco per l’umanizzazione della cura

13 maggio, 2019 - 14:03

A giugno, tre anni fa ho saputo di avere un tumore.

Il mio percorso individuale è stato quello di affrontare il male, riconoscerlo, chiamarlo per nome, accettarlo senza diventarne succube e grazie a professionisti di eccellenza, sconfiggerlo.

Nell’evoluzione della mia vita questo periodo resta una ferita ma anche le ferite raccontano storie e nella vita questo è quello che ho imparato a fare.

Nel mio soggiorno in ospedale ho portato con me un libro, che da poco in quei giorni era stato pubblicato dal mio amico scrittore Gabriele Romagnoli. Si intitola “Coraggio”, e mai tempismo si è dimostrato più appropriato. Mi ha fatto compagnia, una compagnia utile.

In sala visita parenti ho poi trovato un espositore con dei libri. Troppo basso per essere utilizzato da degenti intubati, con addosso le sacche di liquidi ma nonostante sacche e tubi mi sono piegato e ho sfogliato le proposte. Ne ho dedotto che l’idea era bella ma povera.

Ho pensato subito di raccogliere volumi che per formato e contenuto potessero essere fruibili dai pazienti e dai loro parenti, che fossero “una finestra”, come ben ha detto l’editore Gallimard in una intervista, “utili ad un ricambio d’aria” nei tempi spesso esasperanti delle ore in ospedale.

In poco tempo con l’ausilio di amici scrittori ne ho raccolti più di trecento che ho organizzato in tre piccole librerie di reparto realizzate con espositori adatti e idonei per i pazienti e alle nuove regole di sicurezza. Nel mentre sono stato informato che il mio tumore era stato debellato. Allora nel quadro delle attività di umanizzazione della cura ho proposto alla direzione dell’Ospedale San Luigi e alla Regione Piemonte l’organizzazione di un ciclo di letture rivolte ai lungodegenti oncologici che volessero ascoltare storie lette da bravi attori per loro. Tra marzo e giugno ne sono stati realizzati con un buon successo ben 13 incontri.

Prima parlavo di ferite. C’è un artista americana, Rachel Sussman, che con la tecnica giapponese del kintsugi (normalmente utilizzata per ricomporre i cocci delle ceramiche) ripara le crepe dei marciapiedi con fili d’oro. Ovvero non nasconde le ferite ma le evidenzia con la dovuta fierezza. Ecco, questo percorso di attività è il mio filo d’oro che sutura la ferita di un tumore, mettendo a disposizione di altri quanto ho ricevuto di utile dalla mia esperienza.

Gli sguardi ed i sorrisi che ne ho ricevuto a sostegno brillano come l’oro e sono altrettanto preziosi. Ecco perché oggi sono tornato coi miei attori a leggere in un reparto qui al Mauriziano.

Ringrazio tutti quelli che ci hanno aiutato a rendere realizzabile questa idea e tutti quelli che hanno voluto partecipare e seguirci nei nostri incontri.

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