Informativa Cookie

Non dirmi che hai paura

26 febbraio, 2014 - 18:14

Di Giuseppe Catozzella – Feltrinelli

Un testo può non convincere completamente, ma, per qualche motivo profondo, sembrare necessario.
Necessario perché di emigrazione e di viaggi della speranza si parla davvero continuamente, e così tanto, che si finisce per farne qualcosa di naturale, e di poco importante. Tv e magazine alzano la testa nei giorni di un grande sbarco concluso in tragedia, per poi riabbassarla. E si continua come nulla fosse.
Pochi mesi fa, presentando in teatro lo spettacolo NEL MARE CI SONO I COCCODRILLI di Fabio Geda – primo autore in Italia ad aver avuto il coraggio di raccontare un viaggio che nessuno sino ad ora aveva saputo narrare – ho avuto occasione di partecipare ad un interessante dibattito con ragazzi liceali proprio sul tema della comunicazione dell’odierna emigrazione. Come allora, sono dell’idea che sia necessario parlarne, ma senza retorica e nel quotidiano.

Samia ama correre, e provò a correre anche la notte in cui i suoi piedi non riuscirono a fare presa sull’acqua a largo di Lampedusa. La sua è una favola triste, una storia breve e davvero intensa. Samia era somala, e della Somalia si percepisce il buco nero in cui questo lontano e bellissimo paese – un tempo colonia Italiana – è caduto. La guerra e le pallottole prima, El Shabab e la legge coranica più tardi, e l’apatia del mondo.
Coraggiosa e caparbia, ha corso sempre, sino ad arrivare alle Olimpiadi di Pechino. Dopo è ritornata in quel paese che aveva promesso di non abbandonare, che voleva salvare. Ma gli anni, le sconfitte quotidiane e il non poter vivere hanno portato anche lei verso “il viaggio”, quel viaggio a senso unico dove in gioco ci sono vita o morte, approdo o sconfitta.
Samia in quel viaggio ha perso la sua identità, i suoi averi, il suo coraggio. Ha perso la gara che non avrebbe dovuto correre, ma che tanti somali, etiopi, sudanesi oggi sono costretti a correre per vivere. Ecco, l’emigrazione raccontata da Samia è un viaggio estremo, una corsa a ostacoli con un traguardo che appare spesso un vano miraggio.

Alla fine del libro rimane la sensazione che quel traguardo siamo noi, sono le coste del Sud dell’Europa, coste ricche di mani che provano ad accogliere, ma che spesso non riescono ad afferrare. Coste dove quotidianamente si discute su cosa e come fare, dimenticando che il problema vero sta centinaia e centinaia di km più a sud.

Alberto Dellacroce

Lascia una risposta

L'indirizzo email non verrà pubblicato. I campi obbligatori sono contrassegnati *

*

You may use these HTML tags and attributes: <a href="" title=""> <abbr title=""> <acronym title=""> <b> <blockquote cite=""> <cite> <code> <del datetime=""> <em> <i> <q cite=""> <s> <strike> <strong>