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L’ultima notte di Giordano Bruno

15 febbraio, 2018 - 21:00 Teatro Agnelli, via Paolo Sarpi 111 - Torino

da un’idea di Renzo Sicco
regia di Renzo Sicco e Lino Spadaro
con Giovanni Boni, Lino Spadaro, Paolo Sicco

Quattrocento anni or sono, nel 1600, Giordano Bruno filosofo di fama europea venne arso come eretico.
Per quasi tre secoli la sua memoria appartenne a pochi fino all’Ottocento, quando fu riscoperto dall’Italia risorgimentale e trasformato in un martire.
Quando si abbottona male il primo bottone della camicia, soleva dire Giordano Bruno, tutti gli altri vanno fuori posto. Lui ne sapeva qualche cosa, perché gli andò tutto male, fin dall’inizio. Era versato in disgrazia come Don Chisciotte. La sua vita mescola come poche altre tragicità e grandezza. Peregrino per una quindicina d’anni attraverso l’Europa, si resta stupefatti di come egli, pur navigando in mezzo ai marosi, potesse scrivere tanti libri. Un bel giorno ebbe la malaugurata idea di tornare in Italia finendo così nelle grinfie dell’Inquisizione. Aveva quarantaquattro anni.
Fu tenuto in carcere per ben otto anni e solo il 17 febbraio del 1600 i suoi carnefici lo bruciarono vivo in Campo dei Fiori a Roma.
Come pensatore anticipò molti aspetti della scienza moderna, specialmente nel campo della cosmologia e fu travolto dal suo amore per il sapere e dall’odio contro ogni dogmatismo.
La nostra libera rielaborazione si avvale tanto dei costituti, vale a dire degli atti del processo, che di ciò che Bruno stesso dice nelle sue opere, che della potente suggestione che la sua vicenda ha messo in moto nell’immaginario di studiosi che nei percorsi di Bruno si sono identificati e riconosciuti.
Certe sue trattazioni metafisiche e filosofiche provocano un senso di vertigine, altre destano orrore perché rivelano le sevizie e le torture cui andavano incontro le vittime dell’Inquisizione.
Il processo di Bruno si chiude con un rogo, un rogo che punisce reati che in linguaggio odierno possiamo definire di opinione cioè le espressioni, le idee, i pensieri diversi o contrari da quelli ammessi dall’ortodossia. Esso ci appare quindi come la quintessenza stessa dell’intolleranza di cui sentiamo sovente rifiorire la forza e la devastante follia.
Guerra, pena di morte, accanimento giuridico, violazioni della dignità umana, epurazione, genocidio, sono alcune delle parole che l’avanzamento dei processi democratici sembrava voler archiviare ma che la tragedia della storia e della nostra quotidianità riportano troppo spesso a galla.

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