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Le rose del deserto, Santiago del Cile e le Twin Towers

10 settembre, 2021 - 03:28

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Ci sono due 11 settembre nella memoria collettiva. Per i più giovani, quello del 2001, vent’anni fa, con l’attentato e il crollo delle Torri Gemelle a New York; per quelli più in età, nel 1973 il Golpe militare in Cile col bombardamento del Palazzo Presidenziale, la morte di Salvador Allende e il crollo della democrazia in America Latina.

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“Sono più di trent’anni che mi porto sulle spalle questa data maledetta come una lapide che un paese, gli Stati Uniti, ha posato sulla mia gioventù e su migliaia di altri come me. Perché il golpe militare fascista che mise fine alla democrazia in Cile non fu un’idea di Pinochet né degli atri traditori di un giuramento.

Tre anni fa, a questa data maledetta si è aggiunta la prevedibile tragedia di New York, perché non era necessario essere un grande esperto di problemi del Medio Oriente per sapere che gli Stati Uniti avevano scatenato una forza d’odio incontenibile, addestrando terroristi in Afghanistan, sostenendo i satrapi dell’Arabia Saudita, del Kuwait, degli Emirati Arabi, luoghi del pianeta dove non si rispetta un solo diritto umano, e avallando la politica razzista della destra in Israele. La politica internazionale degli Stati Uniti è sempre stata la politica di una nazione senza storia, di clan legati al potere economico o di lobby che dettano le decisioni al governo. Mi pesano le vittime del mio 11 settembre e anche quelle dell’11 settembre statunitense, ma con una grande differenza: le mie compagne e i miei compagni sapevano perché venivano uccisi, sapevano che era il prezzo di aver sognato un mondo migliore, mentre le povere vittime del World Trade Center non sapevano perché morivano.

In questa data maledetta mi fanno male i miei morti e quelli di New York, ma mi fanno male anche le migliaia di persone, non si sa quanti, uomini e donne che da anni si trovano in prigioni segrete, senza capi d’imputazione, senza difesa, senza processo, senza una vera esistenza: desaparecidos”.

Luis Sepúlveda, 2004

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Le rose di Atacama sono lo straordinario spettacolo della natura che è possibile osservare intorno alla fine di marzo nel deserto di Atacama, a nord del Cile.

Le rose di Atacama assurgono a metafora della possibilità di vita, bellezza e colore anche laddove le condizioni dell’esistenza sono più dure, dolorose ed estreme.

Uno spettacolo per narrare il coraggio e la dignità di uomini e donne comuni, la poesia che risiede talvolta nelle scelte di vita più semplici, la straordinarietà della vita stessa.

Oggi, a quasi cinquant’anni dal golpe cileno dell’11 settembre è intatta la volontà di non dimenticare. In tempi sempre cupi il mondo brucia nella violenza sui popoli e nelle fiamme dell’ambiente non rispettato dagli uomini stessi; in giorni, settimane e mesi in cui Afghanistan, Siria e paesi dell’area continuano ad essere tormentati da tragiche e violente turbolenze di guerre e di soprusi che non sembrano poter trovare mai fine.

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Assemblea Teatro, per questa ricorrenza, ha proposto due appuntamenti

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sabato 11 settembre alle ore 21, a Cascina Roccafranca

LE ROSE DI ATACAMA

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domenica 12 settembre alle ore 18, al Mausoleo della Bela Rosin

LE CASE DEL POETA – Mattia Mariani legge da “Confesso che ho vissuto” di Neruda

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