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Il calcio secondo Galeano -1

24 maggio, 2016 - 13:23

L’arbitro

L’arbitro è arbitrario per definizione. È lui l’abominevole tiranno che esercita la sua dittatura senza possibilità di opposizione, l’ampolloso carnefice che esercita il suo potere assoluto con gesti da melodramma. Col fischietto in bocca, l’arbitro soffia i venti della fatalità del destino e convalida o annulla i gol. Cartellino in mano, alza i colori della condanna: il giallo, che castiga il peccatore e lo obbliga al pentimento e il rosso che lo condanna all’esilio.

I guardialinee, che aiutano ma non comandano, guardano da fuori. Solo l’arbitro entra nel campo di gioco e giustamente si fa il segno della croce al momento di entrare, appena si affaccia davanti alla folla ruggente. Il suo lavoro consiste nel farsi odiare. Unica unanimità del calcio: tutti lo odiano. Lo fischiano sempre, non lo applaudono mai.

[…]

Dal principio alla fine di ogni partita, in un mare di sudore, l’arbitro è obbligato a inseguire la palla bianca che va e viene tra i piedi altrui. È evidente che gli piacerebbe giocare con lei, ma questa grazia non gli è mai stata concessa.

[… ]

Gli sconfitti perdono per colpa sua e i vincitori vincono malgrado lui. Alibi per tutti gli errori, spiegazione di tutte le disgrazie, i tifosi dovrebbero inventarlo se non esistesse. Quanto più lo odiano, tanto più hanno bisogno di lui.

Per più di un secolo l’arbitro ha portato il lutto. Per chi? Per se stesso. E ora lo nasconde con i colori.

                                              [Eduardo Galeano]

Gli altri racconti, pubblicati ogni tre giorni su questo sito, sono tutti raccolti su questa pagina

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