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L’amore del bandito

08 gennaio, 2009 - 11:09
di Massimo Carlotto
E/O (collana Noir mediterraneo)

In settembre ho incrociato Massimo Carlotto e, trovandomi poco dopo di fronte a una libreria, mi è sembrato naturale comprare il suo L’AMORE DEL BANDITO, il ritorno dopo alcuni anni dell’ALLIGATORE, e di una serie che ha fatto entrare Carlotto dalla porta principale nell’affollata stanza dei giallisti italiani.

Premetto che non amo il giallo italiano e che sono lettore del commissario Carvhalo e di Vaquez Montalban, come di molti altri gialli che hanno i rumori e i sapori di Barcellona. Del noir “Italia” non sopporto spesso i modi, i molti luoghi comuni, inutili epiteti usati e riusati, pesantismi che servono più ad allungare le pagine che a far sognare il lettore… e anche qui, ammetto che le prime 30 pagine l’impressione me l’hanno confermata. Ma a un tratto Bum! (l’immagine del chiodo che molla il quadro di Novecento). Entro tra le righe di un autore che usa il giallo (dopo la trentesima pagina davvero un bel giallo) per fare anche altro, per raccontare le terra che conosce, uomini e donne che vivono e amano, per fare reportage giornalistico, per denunciare … il tutto resta sempre storia immaginata, quindi bisogna della denuncia cogliere il senso.
L’Alligatore che ci ripropone guarda la sua città assorto, trasognato, soffre per i cambiamenti inutili, per la perdita di dignità e di spirito d’un popolo falso e populista… insomma, si scontra con il contraddittorio e incoerente nord est. Al di sotto, anzi sarebbe meglio dire al di sopra, un’intricata vicenda che vede l’alligatore e i suoi più affezionati compagni, Beniamino e Max la memoria, uniti in un caso che li vuole sfortunati protagonisti. Tra servizi segreti, mafia kosovara e serba, rapimenti e ricatti, pagine che corrono rapide attraverso le nuove infrastrutture e le nuove “ronde” del nord, si staglia l’amore di ognuno … il finale aperto dà modo di immaginare un interessante secondo tempo o di stare a pensare a cosa sapranno fare i nostri eroi… o ancora, e forse c’è né bisogno, di chiudere molto semplicemente un buon libro per aprirne immediatamente un altro.

Alberto Dellacroce

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