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La vita intorno

15 luglio, 2016 - 11:54

Pensare che una settimana prima il Portogallo era un posto disegnato su una cartina.

Quante cose possono cambiare in una settimana?

Un oceano intero.

Non ho usato a caso questa parola, dal momento che la maggior parte delle mie giornate in Portogallo iniziavano, proseguivano e finivano di fronte all’oceano. IMG-20160707-WA0004

Una premessa è d’obbligo: io detesto il mare e la spiaggia. Nulla di radical chic o anticonformismo típico di tutto quell’insieme di artisti che vuole distinguersi dalla massa, semplicemente: non so nuotare e rischio di scottarmi con una facilità impressionante.

Di conseguenza, l’andare al mare, cioè in un luogo di sabbia, acqua e sole, non è certo un idillio per me.

Insomma, mentre già ero rassegnato a considerare i miei spostamenti per raggiungere il “posto di lavoro” come un male necessário, ecco che l’oceano ha colpito basso e mi ha spiazzato.

L’ho visto il primo giorno ed è stato come quando si posano gli occhi su una donna bellissima, che sai essere irraggiungibile, ma che, tuttavia, non puoi non contemplare ammirato. E giorno dopo giorno la cerchi, la trovi, la ammiri, senza mai avere il coraggio di avvicinarti, di salutarla.

Chi l’avrebbe detto che io, terricolo come una talpa, avrei finito per innamorarmi dell’oceano?

Ora ve ne dico un’altra: sapete che lingua si parla in Portogallo? Esatto, il portoghese. Sapete che io non lo so parlare?

E io non sono certo andato a tre stati e un’ora di fuso orario di distanza dall’Italia solo per guardare l’oceano!

Visto che amo le cose semplici, sono andato, accettando la proposta di Renzo e di Assemblea Teatro, a fare magia alla Festa da Sardinha di Lavra!

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Come lo vedete un mago che nemmeno sapeva dire “scegli una carta” in un linguaggio comprensibile ai residenti?

Ecco che dunque, armato di incoscienza, mi sono fatto insegnare la sera prima di incominciare, qualche parola necessaria per sopravvivere: “Scegli”, “gira”, “sopra”, “sotto” (queste ultime prontamente dimenticate il mattino dopo), i numeri fino a dieci, i semi e i valori delle carte.

E con tutta questa padronanza della lingua, il giorno dopo, eccomi rimbalzare da un ristorante all’altro con carte, corde, palline e strani pupazzi.

È andata bene, secondo voi?

Sì, perchè in Portogallo ci si stupisce ancora. Mai, nemmeno una volta, la gente ha abbassato lo sguardo ignorandomi, o fuggendo da me, come, invece, succede molte volte in Italia, dove ogni avvicinamento viene visto come un tentativo di rapina, truffa, o chissà che altro.

Nessuno mi ha mai “sfidato” a “fare un gioco” semplicemente per vedere se il mago è abbastanza goffo da far capire il trucco. 13620072_1615957668695864_6528524934310216676_n

Il fumo della brace – che sa rimanere sui vestiti con una tenacia leggendaria – prendeva la voglia di stupirsi e di giocare dei portoghesi e le portava in alto, spinte dal vento che, in riva all’oceano, soffia senza posa.

Certo che c’è un trucco, ma la gente qui ha accettato di scambiare l’incomprensibile con la meraviglia e allora non serve saper parlare una lingua specifica per regalare sorrisi.

I bambini mi salutavano riconoscendomi da lontano: “O magico!” e, giusto un giorno prima di partire, mentre rientravo nei ristoranti per ringraziarli e salutarli, un anziano signore seduto in un bar mi ha sorriso mimando uno dei gesti che facevo durante le esibizioni.

Ancora non so parlare il portoghese, ma ci sono cose per cui si lasciano da parte differenze di lingua, cultura e tutto il resto e si torna semplicemente esseri umani.

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Ci sono altre cose per cui si dimenticano anni e anni di studi e di vita civile per lasciarsi andare e fare un baccano al cui confronto la giungla è silenziosa.

Anche questa è una cosa propria dell’essere umano, senza alcuna distinzione, ma andiamo con ordine:

Durante questa settimana il Portogallo ha vinto la semifinale e poi la finale dei campionati europei di calcio. L’Italia ha fatto una magra figura ai quarti di finale, tornando a casa prima di mezzanotte, per la cronaca.

Il giorno della finale era il mio ultimo di lavoro e gli organizzatori della festa – che fortunatamente parlavano anche inglese – mi hanno invitato a vedere la partita nel Rancho das Sargaseiras, il centro in cui si riunisce la storica associazione di danze popolari del paese.

Non amo il cálcio (si, lo so, sono una persona noiosa: mare no, calcio no…) così, mentre la partita proseguiva fino alla sua conclusione, io osservavo la gente. Paul Ekman diceva che esistono espressioni comuni a tutti gli esseri umani, io sostengo che esistano, allo stesso modo, passioni. Una di queste è il calcio.

Dalle Alpi alle Piramidi, dal Manzanarre al Reno, se una palla entra in porta ti alzi in piedi, urli di gioia e abbracci a caso le prime persone che trovi sotto tiro.

Se poi quella palla entrata in porta dice “ora siete i campioni d’Europa”…Festa si farà! 13592191_1282815808410318_6518796904634621777_n

E allora clacson spiegati, auto con persone determinate a infrangere ogni regola della buona circolazione, trattori carichi di uomini e donne festanti, litri e litri di benzina andati in fumo per accelerare  con la vettura ferma, tanto per fare un pò di rumore, che non ce n’era abbastanza, fuochi d’artificio e tanta allegria.

Prossimo obiettivo: riuscire ad avere la stessa accoglienza se dovessi tornare.

Segnato. Andiamo avanti.

Finita la festa, rimesse “as bolas, as cordas” e “as cartas” in valigia (il mio vocabolario cresce di giorno in giorno!), non sono certo finite le sorprese.

Ed eccomi dunque a Porto, città che sta su ben più di sette colli. Si sale sempre, anche quando si va in discesa.

Case strette, accostate l’una all’altra come libri in una libreria e, come ogni libro, dentro storie che nessuno può conoscere finchè non va oltre la copertina.

Io sono entrato in uno di questi libri, la notte.

Ci tengo a precisare: non faccio furti con scasso per arrotondare, anche se quanto ho scritto prima potrebbe averlo dato a intendere.

Semplicemente, sono andato in un locale storico di Porto, il “Pinguim Café’” dove il lunedì notte accade qualcosa di molto particolare.WP_20160711_22_32_03_Pro

Superi il bancone e scendi le scale. Sotto terra, si riunisce un gruppo di persone – quasi novello Gruppo dei Poeti Estinti – che, guidato dai Rui (un attore e un musicista che condividono lo stesso nome), legge ad alta voce poesie per tutta la notte.

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Fumo della brace prima, fumo di sigarette poi, la mia vita in Portogallo è stata segnata dalla nebbia.

Io ho letto, ma non vi dirò quali poesie, ed è stato bello osservare da fuori così tante persone e così tanti ragazzi che condividevano l’amore per la notte e per la poesia.

Da fuori? Ma non ero entrato?

Se nella magia lo stupore è dato dall’effetto, nella poesia lo stupore è dato dalle parole e non è facile ottenerlo quando non si ha la mínima idea di ciò che gli altri stiano dicendo.

Li senti ridere, applaudire, ripetere frasi che già conoscono, ma tu non puoi partecipare e non c’è nulla di male in questo, ma è inevitabile estraniarsi un poco e pensare. Se io, che sono stato accolto meravigliosamente, ho avvertito quel senso di esclusione, chissà cosa deve provare  ogni giorno una persona che vive ai margini della società, qualcuno che magari ha un universo da raccontare, ma nessuno disposto ad ascoltarlo.

E allora, mentre sto osservando la valigia da diverse angolazioni cercando di renderla il più possibile simile a quella che avevo quando sono arrivato, mentre mi preparo all’ultimo tramonto sull’oceano, mi chiedo, e giro anche a voi la domanda: che cosa si può fare, da domani, per ascoltare maggiormente la vita intorno a noi?

Stefano Cavanna

4 Responses to : La vita intorno

  1. renzo sicco says:

    bravo Stefano, bel pezzo con cuore, allora e’ valsa veramente la pena inviarti in missione per assemblea teatro grazie renzo

  2. Angelo says:

    Bellissimo racconto! Sei un grande!

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