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La nuova bandiera dei Desaparecidos

28 giugno, 2012 - 17:25

Grazie all’aiuto di tutti voi e di AssembleaTeatro

HOLA RENZO SOY SILVINA LA COMPAÑERA DE CELINA DESDE ARGENTINA.
EL JUEVES 6 DE DICIEMBRE LAS MADRES Y LAS ABUELAS REALIZARON LA 27º MARCHA DE LA RESISTENCIA ,24 HORAS SIN PARAR DIMOS VUELTA EN LA PLAZA DE MAYO ALREDEDOR DE LA PIRAMIDE DE MAYO. LA FOTO QUE TE ENVÍO EN EL ADJUNTO ES DE LA “NUEVA BANDERA” QUE TENEMOS GRACIAS A USTEDES.
TE MANDO UN FUERTE ABRAZO…Y SALUDOS PARA TODOS.
MUCHAS GRACIAS
SILVINA

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Alcune settimane fa abbiamo pubblicato la lettera di María Cristina Pisano che esprimeva il proprio turbamento di fronte all’atteggiamento delle gerarchie ecclesiastiche rispetto agli anni della dittatura e ai recenti avvenimenti legati ai processi, attualmente in corso, ad alcuni dei responsabili delle torture, delle morti e scomparse di una generazione di giovani.
Molti quotidiani, nazionali ed internazionali riportano in data 10 ottobre 2007 la sentenza emessa dai giudici argentini a carico del sacerdote Christian Von Wernich, e su cui, in una intervista rilasciata al Corriere della Sera, si esprime anche il premio Nobel Adolfo Perez Esquivel.
Abbiamo realizzato e presenteremo prossimamente a Torino lo spettacolo “La voladora”, che attraverso la storia di Suor Leonie e Suor Alice, rappresentanti di un’altra Chiesa schieratasi al fianco del dolore e della solitudine delle “Madres”, narra di chi ha pagato con la propria vita la ricerca di quei giovani scomparsi.

P.S. La lotta per la giustizia e verità voluta anche dai figli dei desaparecidos, gli Hijos, prosegue con la denuncia di tutti i complici e conniventi della dittatura. Alleghiamo il manifesto che convoca alla nuova manifestazione indetta l’11 ottobre 2007 contro Alberto Groppi.

sentenza storica

ARGENTINA, CAPPELLANO DEL REGIME CONDANNATO

Ergastolo per Christian von Wernich, il prete dei centri di tortura clandestini

BUENOS AIRES — Dio lo sa, disse il cappellano: «Lui sa che è per il bene del Paese ». L’assoluzione al medico militare che aveva iniettato nel cuore dei sette sovversivi un velenoso liquido rossiccio. «Un gesto patriottico — gli sollevò la coscienza Christian von Wernich —, Dio lo sa». Trent’anni dopo, grigio, attento e silenzioso, stretto e quasi soffocato dal giubbotto antiproiettile e dal colletto da prete dietro al vetro blindato del Tribunale penale numero Uno di La Plata, per quei morti, per 31 casi di tortura, per 42 sequestri illegali, il cappellano Christian von Wernich ascolta la sentenza di condanna: ergastolo, «nell’ambito del genocidio » perpetrato dai militari argentini. È la prima volta per un esponente della Chiesa. La tv pubblica trasmette il processo in diretta. Un maxischermo mostra le immagini davanti al tribunale per la folla e gli attivisti per i diritti umani arrivati in autobus da Buenos Aires.

Ieri, ultimo giorno di udienza, prima del giudice è il turno della difesa. Von Wernich ha visitato sì almeno quattro campi clandestini di reclusione nella zona di La Plata (conosciuti come Circuito Camps) negli anni della dittatura (1976-83), ma l’ha fatto — è la sua linea e quella dei suoi legali — in virtù della «sua funzione pastorale». Respinte le accuse portate in aula da oltre 70 testimoni, familiari delle vittime e sopravvissuti. Luis Velasco, tra questi: «Mi toccò il petto e ridendo disse: ti hanno bruciato tutti i peletti con la picana (strumento di tortura che dava scariche elettriche, ndr)… Non ti restano più peletti». Velasco ha raccontato di aver sentito von Wernich dire a un prigioniero sotto tortura: «Figlio mio, la vita degli uomini la decidono Dio e la tua collaborazione».

A un uomo che chiedeva quale colpa dovesse espiare la sua bimba nata nel centro di reclusione, il cappellano rispose: «I figli devono pagare la colpa dei genitori». Il sermone per i detenuti era: «Non dovete odiare quando vi torturano». Mai visto dare la comunione a qualcuno dei prigionieri che andava a trovare.

Per Velasco, von Wernich ha fatto eccezione e ha parlato per accusarlo di essere stato un collaboratore dei servizi di informazione. Ancora ieri, una battuta sulle testimonianze «impregnate di malizia ». Per il resto, muto. Ogni tanto un appunto a matita, gli occhiali da vista sul naso. Niente da dire davanti alla deposizione di Julio Emmed, polizia di Buenos Aires, che ha confessato l’esecuzione dei sette «sovversivi» ai quali era stato promesso l’esilio. Niente davanti al racconto del battesimo in cella della bimba nata da una donna del gruppo dei sette, María de las Mercedes, consegnata ai nonni con l’indicazione di «non cercare la madre, non raccontarlo a nessuno, aspettare un anno che la donna si sarebbe messa in contatto con loro dall’estero, di sperare ». E i nonni a crederci perché glielo diceva un cappellano.

Quello di von Wernich è un processo considerato simbolico in Argentina. La seconda sentenza dall’annullamento nel 2005 delle leggi di «punto finale» e «obbedienza dovuta », che avevano bloccato i processi ai golpisti. La prima dalla scomparsa del testimone Julio López, che dopo la deposizione-chiave al processo Etchecolatz (il vice-capo della polizia di Buenos Aires) è desaparecido. Uno scomparso in democrazia, trent’anni dopo la dittatura. Una nuova stagione di giustizia, ma anche di intimidazioni. Gli organismi per i diritti umani denunciano il coinvolgimento di ambienti della polizia e chiedono una commissione indipendente a condurre l’inchiesta (ora affidata proprio agli agenti). E con il sostegno del governo (soprattutto in questa fase elettorale) affermano l’intenzione di proseguire nell’accertamento delle responsabilità. «Quello che sottolinea il caso von Wernich — dice al Corriere Luis Alen, capo di gabinetto della segreteria dei diritti umani della nazione, che ha rappresentato il governo nel processo — è che la dittatura non è stata solo militare. Ma che c’è stato il coinvolgimento di altri settori della società (dalla chiesa alle imprese) che va ancora indagato».

Alessandra Coppola
Corriere della Sera, 10 ottobre 2007

 

parla il nobel argentino adolfo perez esquivel

«MA IL SUO NON FU UN CASO ISOLATO»

Il leader pacifista cattolico: «Molti giustificarono gli assassini»

BUENOS AIRES — Una sala immensa, neanche una sedia. Sia chiaro: «Un incontro rapido e fedele al protocollo», ripetono gli alti prelati al premio Nobel argentino Adolfo Pérez Esquivel. Entra Giovanni Paolo II. «Mentre i miei compagni distraggono i cardinali, io riesco a consegnargli un dossier su 84 bambini sequestrati e scomparsi. Avevo già tentato di farglielo avere attraverso tre canali diversi. Il Papa scuote la testa: “Questo non è mai arrivato nelle mie mani”. Poi mi guarda, punta il dito: “Il dossier resta con me, ma lei deve pensare anche ai bambini dei Paesi comunisti…”». È il 1981. Leader pacifista cattolico, arrestato e scampato a un «volo della morte», quindi costretto dalla dittatura all’esilio, Pérez Esquivel ha da un anno ricevuto il Nobel per la Pace. «La settimana dopo il nostro incontro Wojtyla parlerà per la prima volta dei desaparecidos». Perché così tardi? Il golpe argentino è del ’76, e le violenze contro gli oppositori erano cominciate già anni prima. «Io credo che Giovanni Paolo II si sia comportato in questo modo per la cattiva informazione che gli arrivava. Altrimenti non si spiega. Non volle neanche ricevere le Madri di Plaza de Mayo…». Una storia torbida di silenzi e connivenze quella della Chiesa cattolica nell’Argentina della «guerra sporca». Pérez Esquivel la segue da decenni. Dai primi tentativi (falliti) di coinvolgere le gerarchie nella difesa dei diritti umani agli inizi degli anni Settanta; fino ad oggi, al processo von Wernich nel quale il premio Nobel è stato testimone. Nella sede storica del suo Serpaj, il Servizio Pace e Giustizia, a Buenos Aires, la ricostruisce. «La Chiesa cattolica in Argentina ha luci e ombre. C’è stato un settore che ha appoggiato la dittatura, che è stato complice. Alti prelati, semplici sacerdoti. E dentro le diocesi delle Forze Armate istituite da Giovanni Paolo II i cappellani militari e della polizia, che hanno giustificato la repressione in virtù della cosiddetta difesa della civiltà cristiana e occidentale. Von Wernich ha avuto un ruolo diretto nella repressione, ha visitato campi illegali, ha fatto pressioni perché i detenuti parlassero». In aula lei ha sottolineato che von Wernich non è stato un caso isolato. «Ci sono stati vescovi, penso a monsignor Tortolo, che hanno giustificato ogni mezzo per far parlare i prigionieri, tortura compresa. Con l’eccezione però dell’uso della picana (strumento che emetteva scariche elettriche, ndr), alla quale era contrario». Con quale giustificazione? «Per risparmiare energia… Ricordo poi proprio in questo ufficio il capitano di corvetta Scilingo (considerato il primo «pentito» del regime, ndr) che mi raccontò di quando tornava dai “voli della morte”, dopo aver gettato nel Rio de la Plata i corpi dei prigionieri nudi e narcotizzati: andava dal cappellano che gli faceva la comunione e gli diceva che era “una morte cristiana per salvare il Paese dal comunismo”. Von Wernich non è una vicenda isolata. C’era una concezione ideologica che ha portato parte della Chiesa a compromettersi con la dittatura e a contrastare chi viveva il Vangelo insieme al popolo. Religiosi che hanno resistito, come Mauricio Silva (prete operaio desaparecido, ndr), come il vescovo Angelelli (ucciso dai golpisti, ndr), come le suore francesi (Alicia Dumon e Leonie Duquet, scomparse, ndr) ». Una minoranza… «Sì, una minoranza. Ricordo che ebbi una discussione anche con l’allora nunzio apostolico Pio Laghi (spesso ricordato per le sue partite di tennis con il golpista e piduista Emilio Massera, ndr): “Che vuole che faccia — mi disse —, non posso fare quello che i vescovi argentini non vogliono fare». Dopo la dittatura, la Chiesa ha ammesso le sue responsabilità? «Fino ad oggi c’è stato solo un tiepido riconoscimento che avrebbe potuto fare di più e non l’ha fatto. Non stanno neanche cercando un avvicinamento, un dialogo con le associazioni per i diritti umani. Mantengono la distanza. Ma dopo questo processo, io credo che debbano pronunciarsi ».

Alessandra Coppola
Corriere della Sera, 10 ottobre 2007

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