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IL PANE DI IERI

08 gennaio, 2009 - 11:24

Enzo Bianchi

El pan ed seira, l’è bon adman: è stato il titolo a farmi comprare il libro.
Di Enzo Bianchi infatti non avevo letto altro che articoli, saggi, devo dire anche abbastanza apprezzati in quanto le sue parole, i suoi toni concilianti, sereni, danno sempre forza a coloro che sperano nel dialogo come modus operandi dell’articolata società in cui oggi viviamo.
In un mondo troppo “veloce” e pervasivo, in cui non si riesce più nemmeno a sentire il silenzio, l’autore rammenta il tempo anticho, parla del cibo per ricordarci che ne dobbiamo aver cura, dei sapori locali (tutti da sempre contaminati da spezie e culture diversissime), la tavola, il tempo…
Nel giro di poche parole si rendono chiari i contorni di questo testo: langa, terra, i passi della vita, Dio. In un tempo che sottolinea le differenze – religiose intendo – Bianchi scrive della vita, e con lei del suo Dio “buono per tutti”, di un Dio fatto di terra, carne, sangue. In un tempo che fa della religione un’arma politica, lui ancora una volta nobilita la parola di Dio, la pone a lato del discorso utilizzandola semplicemente per chiosare capitoli che raccontano di colline, di lavoro, di grandine e di campanili, di uomini e di tappe attraverso le quali si cresce.
Ecco allora Dio mescolarsi sapientemente alle vigne potate, alla terra arata, al pane che attende sul tavolo l’ospite, entra nelle corti d’un tempo, nelle cucine che brulicavano di umori e sapori. I riti, la sapienza di un mondo antico, le credenze (spesso più pagane che cristiane), si fanno così cornice di un intenso quadro, parti che vanno a comporre il percorso dell’uomo, una tela su cui sta impressa la storia, i ricordi, una terra e la sua gente.
Leggendo si coglie un elogio all’etica di quel mondo lontano, il mondo contadino, alla gioia, alla serenità, parole oggi lontane e faticose, anche in quelle campagne dove è arrivato il futuro, e con lui il denaro e le nuove divinità del mondo moderno.
Da leggere se si è principalmente curiosi e se si ama la terra, sentendola vicina. Di Bianchi si apprezza la sapienza, la misura, il trasporto con cui ricorda e descrive “modi” che dobbiamo davvero ricordare.

Menzione particolare per “la cultura del vino” – con i rimandi ai tempi della potatura e della vendemmia – ed il quadro della mostarda (arte anch’essa di cucine d’un tempo), davvero “saporito”.

Alberto Dellacroce

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