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I libri e gli incontri di Assemblea Teatro al Salone del Libro 2016

18 maggio, 2016 - 17:49

È terminato lunedì 16 maggio il XXIX Salone Internazionale del Libro di Torino.

Assemblea Teatro vi ha partecipato organizzando la presentazione di tre libri, in Salone e per la città, in collaborazione con Chave arredamenti.

Grande successo per pubblico coinvolto e per argomenti trattati.

Grazie a Barbara Mastella ed al suo libro “L’arco perfetto”, l-arco-perfetto-9788890873263

abbiamo capito che il caso non esiste e la letteratura, a volte,

attraverso l’immaginazione, precede la realtà.

 

 

 

È stata presentata la nuova edizione di “Cieli su Torino”, un volume di racconti, una fotografia letteraria, tra cambiamento e continuità, della Torino pre-olimpica e della città europea di oggi, riservata ma sempre più apertamente ospitale e orgogliosa di sé. Cieli salone slide 2

 

 

 

 

 

 

E poi, giovedì sera, 12 maggio, incontro e presentazione del libro “Oltre le sbarre” di Dario Esposito. Di questo incontro, in particolare, ci preme approfondire e ricordare l’argomento affrontato, importante seppur difficile e senza dubbio di estrema attualità. Esposito_copertina-DEFINITIVA-PER-LA-STAMPA

Il volume è stato motivo per una discussione intorno all’argomento carcere, a parlarne persone esperte  del “mondo prigione”, dal garante per la Regione Piemonte Bruno Mellano allo stesso autore, nella vita agente penitenziario, insieme a Mario Tagliani maestro del Ferrante Aporti che quotidianamente affronta il difficile compito di portare educazione in una realtà così difficile, senza dimenticare l’avvocato Bruno Segre che visse durante la seconda guerra, sulla propria pelle, l’esperienza delle sbarre.

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Un momento della serata del 12 maggio: Renzo Sicco, con l’Autore Dario Esposito e Stefano Cavanna

Proprio il professore Segre ha voluto portare l’attenzione sull’aspetto della libertà, che viene a mancare nel momento esatto in cui si entra in prigione. La libertà di non avere orari, la libertà di potersi muovere e decidere cosa fare della propria vita. Quella Libertà con la elle maiuscola per cui Segre, insieme a molti altri partigiani hanno combattuto, lottato e sono stati imprigionati, in carceri per nulla simili a quelle odierne. È vero, le carceri di oggi è sono strutture più evolute, più a misura di detenuto, ma, forse, il problema, su cui riflette Esposito, sono proprio le definizioni e gli stereotipi. La prigione ha i suoi codici, come la società fuori ha i propri. La persona che entra in carcere perde la libertà, ma anche il nome, la propria identità, diventa un numero, un articolo del codice penale, la descrizione del reato per cui è stato chiuso in carcere. Esistono anche codici speciali di comportamento, di rapporto tra detenuti e agenti, regole non scritte, linguaggi del corpo e atteggiamenti che decidono la vita di chi sta dentro e di chi, quotidianamente, passa da dentro a fuori.

La questione carceri ha radici lontane nella società esterna, sicuramente bisogna migliorare la condizione dei detenuti in termini di qualità abitativa ma soprattutto, nel percorso di riabilitazione, recupero e reintegro, bisogna riuscire anche a superare lo stereotipo del “secondino” che picchia il “prigioniero”. La figura del garante a questo serve, come suggerisce la parola stessa deve garantire il detenuto, deve impegnarsi a mantenere la garanzia che il detenuto, una volta scontata la pena, possa, uscendo, tornare persona. La questione non è tanto quantitativa in termini di scontare o meno tutti i mesi previsti, quanto qualitativa, ovvero come viene scontata, come viene organizzata la vita e la rieducazione del detenuto per il tempo previsto di detenzione.

Sembra un ossimoro, ma perché la vita dentro possa essere non solo un trascorrere di giorni a scadenze fisse, bensì motivo di recupero sociale, bisogna che, oltre ad un programma istituzionale interno, ci sia fuori qualcuno o qualcosa in grado di riaccogliere colui che è stato dentro. Ciò vuol dire una famiglia, affetti, parenti, amici o strutture che possano essere un filo rosso verso il reintegro di persone già perdute prima ancora di essere detenuti.

Gli stessi minori incarcerati, come ricorda Tagliani, sono spesso ragazzi che non hanno un riferimento già nella loro quotidianità per i quali il carcere diventa quasi luogo sostitutivo della famiglia, ambiente in cui il ragazzo si sente a casa, circondato da persone conosciute e che sanno chi lui sia. Perché allora uscire quando nulla c’è fuori che lo aspetta anche se lui forse è maturo per affrontare il mondo?

La soluzione al problema, come spesso accade, non la si può trovare in una formula matematica di somme e sottrazioni, stiamo parlando di esseri umani non di numeri.

La soluzione dovrebbe, potrebbe essere l’equilibrio, la tensione tra opposti capace di bilanciare il contrasto continuo ed ineludibile tra fuori e dentro.

 

 

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