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Gabriel Garcia Marquez

18 aprile, 2014 - 22:31

Ci sono incontri che ti cambiano la vita. L’incontro con “Cent’anni di solitudine”, nel lontano 1968, per me è stato uno di questi e mi ha aperto finestre di immaginazione fino allora sconosciute. Forse proprio a causa di quel libro cinque anni dopo ho scelto di andare a vivere a Barcelona, che per me era in quegli anni il posto ispanico più accessibile. Poi per molti anni a venire, dopo l’affondo nella lettura di quel romanzo e delle molte altre pagine di Gabriel Garcia Marquez, ho sognato di raggiungere il Sud America. Ho continuato a conoscerlo viaggiandoci dentro attraverso gli scritti di Manuel Scorza, Eduardo Galeano, Alvaro Mutis, Mario Benedetti, Luis Sepúlveda e molti altri fino a che finalmente trent’anni dopo ci sono approdato. Atterrato a Buenos Aires poi a Santiago e in Patagonia, poi in tante capitali e in mille Macondo.
Non ho piu’ smesso di camminarci.
In quel cammino tante di quelle pagine accumulate nelle letture di anni hanno cominciato a prendere forma, molti di quei volti mi hanno presentato sorrisi, rughe o cicatrici. Sono tutti incontri, sguardi, conoscenze che devo a quel primo fortunato incrocio con la scrittura di Gabriel Garcia Marquez a cui sono e sarò per sempre grato.

Renzo Sicco

 

“foto di Daniel Mordzinski”

CUBA 2006

Torno a Cuba a quattro mesi dallo spettacolo e quando scendo dal taxi in Parque Finlay lo vedo seduto su di una sedia a dondolo sulla porta di casa intento a leggere un libro con un paio di occhiali talmente nuovi che hanno ancora una piccola etichetta azzurra su di una delle due lenti. Mi vede e mi sorride, sorpreso come un bambino, Felipe Panguinoty. Gli porgo il regalo che ho comperato in una libreria di Madrid. È l’ultimo romanzo di Gabriel Garcia Marquez, Memorias de mis putas tristes, che ho trovato in una bella edizione con la copertina cartonata. Sono certo che gli piacerà e, sempre più sorridente, mi dice: «È uno dei più grandi scrittori della nostra America Latina». È vero Felipe e dissento da tanti nostri critici che non concedono a un vecchio l’onore di un bel racconto, semplicemente ben scritto, ma esigono, da uno che ne ha già realizzati tanti, un altro capolavoro anche a ottant’anni. Ti piacerà Felipe, racconta con tenerezza e ironia della vecchiaia, della tua vecchiaia bella e luminosa, dei conti con la vita che si è vissuta e con quella che per tempo, avarizia o semplicemente fortuna, si è mancata. Mi dice Felipe che lui non è un critico d’arte ma che il nostro spettacolo «era giusto dal primo all’ultimo istante, era ben scritto e ben realizzato e non cadeva per un solo minuto ». Mi ripete che tutta la gente del Barrio Pogolotti lo ha capito perché era ricco e semplice al tempo stesso.
«Un evento indimenticabile».
Così quattro mesi dopo, dentro il vento che riprende a soffiare impetuoso, con la minaccia del primo uragano di stagione, mentre la pioggia torrenziale e tropicale riprende a cadere sull’Avana, capisco e sento, in questa casa, di essere tornato a «casa».

Gabriel García Marquez, che mi ha fatto conoscere l’America Latina, mi ha accompagnato in molti incontri, e anche in questo reincontro con un vecchio amico che amava i libri e la scrittura a Cuba agli inizi degli anni 2000.

Renzo Sicco

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