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Diario quotidiano dal Mexico

18 febbraio, 2013 - 18:47

Caro/a Amico/a,

nuova tournèe e nuovo appuntamento con le parole che Renzo Sicco ci invia dall’altra parte del mondo. L’occasione per seguire la compagnia nel suo lavoro oltre confine e per scoprire un poco meglio il paese che ci ospita, il Messico.

per l’intera settimana lascieremo aperto uno spazio “commento” – che troverai al fonodo della pagina – con il quale potrai farci avere suggestioni, idee, testimonianze… o semplicemente un saluto.

 

18/02 – Una parte del gruppo è in viaggio mentre l’altra già debutta con il “Dante”

A distanza di 25 anni dal primo tour, per la terza volta torniamo in Messico. L’ultima volta pochi anni fa siamo stati al Festival di Sinaloa, regione ai confini con gli Stati uniti, terra dei nuovi boss della droga e dunque di forti traffici e contraddizioni. Anni fa era stato il Festival Cervantino ad ospitarci a Guanapuato, Morelia, Acambaro, Queretaro, Irapuato, Dolores Hidalgo, nel centro del paese, zona carica di storia e ricchezza culturale. Stavolta partecipiamo al battesimo di un nuovo evento nel Sud estremo oltre lo Yucatan, terra dei Maya. L’attesa è grande e anche, giustamente, un pò magica. Renzo

 

19/02

Eccoci inequivocabilmente in Mexico / renzo e andrea

 

20/02

Un buon ascolto ha suscitato ieri sera il Dante proposto da Annapaola tanto da farla diventare l’idolo di un gruppo di teneri punk a bestia locali. Mahahual è bella e caraibica come da promessa e ora nel suo centro svetta un palco immenso e monumentale. Per chi ricorda il film dei Talking Heads, True Story, proprio così una cattedrale improbabile installata di fianco alla chiesa cattolica un casotto in legno dipinto di vernice rosa con le sedie di plastica della Pepsi altrettanto improbabile. Tutti sentono il Festival e l’atmosfera nonostante la perturbazione è allegra ed elettrica.

Una foto da Mahahual!

 

I libri e le parole in un paese governato da politici analfabeti tornano a essere pericolosi ha detto Paco Ignacio Taibo II aprendo la tavola rotonda “Leggere è Resistere”. Gli scrittori servono a causa della fragilità del giornalismo informativo perchè vanno come certo teatro o cinema a fondo nello scavo dei problemi.

 

21/02

Ancora una volta Mas de Mil Jueves è arrivato in un Festival con parole impetuose e necessarie cambiando l’emozione e mutando la percezione di tutti i presenti. Un applauso interminabile per las Madres, il pubblico in piedi per Annapaola e la sua intensa e onesta rappresentazione del dolore e della dignità. Uno spettacolo sulla storia della Frontiera d’Argentina che è Messico essendo America Latina ed è Italia in quanto terra d’immigrati.

 

Luciano Consoli è un imprenditore italiano che fa bene all’immagine nel mondo del nostro Paese. E sappiamo quanto ce ne sia bisogno! Un lavoratore che ha costruito per se ma non scordandosi di aggregare altri. E’ lui il motore del Festival e se non lotta più contro la burocrazia della nostra Italia combatte quotidianamente contro gli ostracismi che ogni paese pone agli stranieri, anche o ancor più a quelli di successo. Nessun regalo in alcuna frontiera.

 

Pino Cacucci e Renzo Sicco / Gli stage a Mahahual

 

 

 

 

Un poco di vacanza…

Dopo il successo di ieri sera oggi ci siamo regalati un po’ di ore di vacanza. Il tempo di visitare un insediamento Maya, nel sito archeologico di Chacchoben, poi il Forte San Felipe una fortificazione ispanica ed infine un bagno nelle acque dolci e tiepide della Laguna di  Bacalar uno scenario davvero incantevole e sorprendente. Acqua turchese e cristallina con sette variazioni di colore tra  l’azzurro e il cobalto. Un regalo per gli occhi e il cuore.

 

 

 

… in serata:

Caracol è il nome di un giovane gruppo di quattro ragazzi innamorati della musica del mondo. Il loro repertorio trae linfa dai Paesi Baschi, dalla Spagna, dal Mexico, dal Fado Portoghese e si esprime attraverso la bella voce della giovanissima cantante. Producono, ad ascoltarli, tenerezza e gioia e ti raccontano di una attenzione ed un  talento che non può e non deve andare smarrito per la mancanza di circuiti e di un progetto di politica culturale per il nostro Paese.

 

22/02

Ieri dal palco del festival Paco Ignazio Taibo II ha insignito  “l’amico” Pino dell’onore di essere il vero ambasciatore del Mexico in Italia. In effetti col suo Polvere del Messico, Puerto Escondido e la trilogia Tina, Nahui, Frida, Cacucci non solo è l’ autore italiano che ha fatto innamorare del Mexico migliaia di italiani ma è un tessitore di relazioni che proprio in questa bella scommessa di Cruzando Fronteras trova la sua cucitura e l’intreccio ideale.

 

Semplicemente pazzesco. Viva la Vida è stato trionfale con tutto il pubblico ad applaudire in piedi ma poi … ci aspettava un pulman a due piani senza capote ma con tante luci come un albero di natale. Tutti sono saliti sul Magic Bus del Frida Tour che a mezzanotte con la musica a palla ha percorso le vie del paese mentre Annapaola come Priscilla salutava e benediva le folle urlanti per un delirio indimenticabile!

 

23/02

Stamattina tutti alle otto riuniti nella hall dell’hotel per la partenza verso il Faro. Di li, sedere in aria come le mondine, via per la grande pulizia della spiaggia. Distribuzione dei sacchi per la raccolta di generico, plastica e lattine, e dei residui colorati che verranno utilizzati per una scultura

   

Presentare Frida ai messicani era decisione ardita e temeraria ma Viva la Vida è stato lo spettacolo più atteso del Festival ed anche quello che ha catalizzato più attenzione. Oltre all’indiscusso fascino e amore che riscuote la Kahlo ha giocato a nostro favore la credibilità e il rispetto di un autore quale Pino Cacucci indubbiamente con sua moglie Gloria referenti irrinunciabili del Festival Cruzando Fronteras 2013.

… sera

Un grande Ormezzano. Un intervento che è stato al tempo stesso una enorme lezione di storia ed una coraggiosa confessione personale. Una lezione di etica per il giornalismo internazionale contro i troppi silenzi e le disattenzioni. Un excursus sul coraggio e un recupero di nomi “olvidados” alla memoria.* (Riportiamo in fondo l’importante intervento di Gian Paolo Ormezzano)

 

Sul palco de las Fronteras la contagiosa pizzica che fa danzare giovani di tutto il mondo. Maestri di scena i coinvolgenti musicisti e danzatori di Italia Migrante.

24/02… el final!

Una grande festa con tutti gli artisti in successione sul palco per brevi interventi  ha concluso Cruzando Fronteras. Poi i musicisti tutti insieme per una grande jam sesssion terminata con una tarantata versione di Bella Ciao cantata da tutta la piazza in coro, infine meritatamente sul palco  Luciano, Pino e Gloria e tutti gli organizzatori e i volontari che hanno reso possibile questo nuovo festival. Ad applaudirli e abbracciarli insieme un intero paese in festa perchè si è sentito più ricco di cultura e di confronto. Una calda notte di luna caraibica ha accompagnato impeccabile il gran finale.

*

Gino Bartali, sino alla morte ha rifiutato il ruolo di partigiano coraggioso nell’Italia occupata dai nazisti e ancora soggetta a Mussolini, di Pancho Villa in bicicletta, e che prima aveva assai dimensionato, per modestia, il proprio ruolo di pacificatore, con le sue vittorie al Tour de France, dell’Italia sconvolta dopo l’attentato al capo del partito comunista, c’entra eccome in quanto sto per dire relativamente a rapporti, contatti,connubi, complicità fra il potere e lo sport, fra dittatura e campioni.
Faccio da sessant’anni il giornalista sportivo, e temo proprio di essere quello che, al mondo, ha seguito da scrivano il maggior numero di edizioni dei Giochi olimpici: 24, fra estivi e invernali, cominciando nel 1960 . Ho pure addosso tantissimi Giri ciclistici d’Italia e di Francia, e, si capisce, campionati del mondo di calcio, ciclismo, atletica, nuoto, automobilismo… In Messico sono stato fra l’altro per le preOlimpiadi del 1967, le Olimpiadi del 1960, il primato mondiale dell’ora del ciclista Francesco Moser nel 1984 e per il campionato mondiale calcistico del 1986: questo prima di scoprilo turisticamente come Baja California, posto di tantissime mie vacanze. Mi chiedo spesso, e con sempre maggiore frequenza, se non sono stato, qualche volta e in qualche modo, complice silenzioso di eventi che hanno visto lo sport al servizio di ideologie criminali. Purtroppo devo rispondermi di sì, anche se una felice situazione di carriera, la direzione di un quotidiano sportivo a Torino, la mia città, con praticamente l’obbligo di seguire il giornale da vicino in quei giorni importantissimi, mi ha impedito di seguire sul posto il Mondiale calcistico in Argentina nel 1978, cioè nel pieno della dittatura di Videla, e quindi mi ha evitato di essere soltanto un testimone dell’evento sportivo, come è accaduto alla quasi totalità dei giornalisti presenti a quella manifestazione. Sicuramente avrei anche io evitato ricerche scomode, testimonianze imbarazzanti, indagini pericolose, lo ammetto onestamente, e questo anche se, nel gennaio di quello stesso 1978, a Buenos Aires per il sorteggio del Mondiale calcistico e il Gran Premio di Formula 1, ero stato in un certo qual modo aiutato a capire: di tarda sera, nella calda estate della capitale, insieme con Omar Sivori ex grande calciatore, Nestor Rossi giocatore famoso in tempo di guerra ed Enzo Bearzot commissario tecnico della Nazionale italiana, avevo passato momenti terribili. Avevamo parcheggiato, nei pressi di una gelateria a cui miravamo, la nostra auto in una bella via piena di villette e stranamente vuota di vetture, sgommando ci era letteralmente arrivata addosso un’auto senza targa, erano scesi poliziotti in borghese, imbracciano mitra dalla canna cortissima, ci avevano chiesto i documenti e il perché di quella sosta. Le mani sul cofano dell’auto, alla luce di un lampione, i due ex assi del pallone e il tecnico italiano la cui foto stava su tutti i giornali si erano fatti faticosamente riconoscere, mentre per me parlavano i documenti (ero il solo ad averli). Ci intimarono brutalmente di andare via subito, il giorno dopo seppi che in quella via abitavano i capi della giunta militare, la nostra auto poteva essere un’autobomba, e dunque soltanto per caso non ci avevano freddato sparandoci da lontano, cosa “normale” nella Buenos Aires di allora.
Lunga divagazione per dire che in quel 1978 il regime militare argentino riuscì sempre a evitare che la stampa internazionale, presente in forze nel suo paese per il Mondiale del pallone, raccogliesse le voci, che pure esistevano, di torture, deportazioni, esecuzioni, arresti di militanti sul fonte opposto a quello di Videla e dei suoi. Tutti complici, se si vuole, sino alla farsa dalla partita di finale, quando i giocatori dell’Olanda e lo stesso arbitro, l’italiano Guido Gonella, scesero in campo contro l’Argentina sapendo che in pratica era obbligatorio, era deciso, che la Coppa del Mondo andasse ai padroni di casa, per la maggior gloria di Videla e dei suoi assistenti carnefici. Quella volta lo sport perse una occasione di far sapere che i suoi adepti, di ogni genere, non vivono sotto la campana di vetro dell’indifferenza, non si fanno ciechi volontariamente, non sono incapaci di capire qualcosa di terribile che accade al di fuori degli stadi e delle piscine e di impegnarsi nella denuncia, se non altro per non dare un alibi, con il loro silenzio, ai colpevoli. La frase di scusa, di fuga, è orrenda, è vergognosa, ma viene spesso usata: “Lo sport agli sportivi, il resto non ci riguarda”. Lo diciamo con tristezza: sembra proprio che la frase funzioni.
Eppure manifestare si può, se si vuole, se si sa rischiare almeno un poco. Specialmente se dello sport si è campioni, dunque si è protetti da uno scudo che si chiama popolarità. In una Città del Messico che nel1968 stava ancora piangendo i ragazzi morti nella piazza delle Tre Culture, a pochi giorni dal via dei Giochi Olimpici, e stava ancora chiedendosi perché l’esercito aveva sparato sui ragazzi, due neri degli Stati Uniti, due grandi atleti, Tom Smith e John Carlos, avevano alzato il pugno guantato di nero, allo stadio olimpico, durante la cerimonia della premiazione dei 200 metri, dove erano arrivati primo e terzo, e a testa china avevano voluto così protestare contro la stretta razzista in atto nel loro paese. Se ne parlò molto, ci fu anche un loro connazionale imitatore, Lee Evans vincitore dei 400 metri. Soltanto quattro anni prima, ai Giochi di Tokyo 1964, il giornalista italiano Giorgio Bocca, che aveva scritto della cerimonia inaugurale deprecando chi aveva sfilato, abbassando la bandiera del suo paese in segno di omaggio davanti all’imperatore del Giappone Hirohito, in pratica così omaggiando un criminale di guerra. Però lui era rimasto solo, senza fare proseliti, e aveva patito soltanto minacce telefoniche.
Stando ai Giochi Olimpici, l’edizione di Berlino 1936, benedetta dal governo nazista, vide qualche gesto di solidarietà fra neri americani e bianchi ariani di Hilter, tutti atleti affratellati dall’evento, ma soprattutto registrò lo schiaffo morale dato da Jesse Owens, il grande statunitense di colore che fu il protagonista dell’atletica con le sue quattro medaglie d’oro, al Fuhrer che in preda all’ira lasciò lo stadio pur di non stringergli la mano. Ma la nazificazione di quei Giochi aveva radici ancora abbastanza nascoste, per esempio l’esclusione degli ebrei dalla rappresentativa del Reich. Niente però di eclatante, e d’altronde due anni prima, in Italia, la coppa del mondo di calcio era stata vinta dai padroni di casa anche con partite dagli arbitraggi dubbi, così che Musoslini potesse avere la sua bella festa fascista da gestire a pro del suo regime.
Lo sport, tutto lo sport, ha comunque più complicità da rimproverarsi che impegno civile e politico da esibire. Da ricordare però,per tutti e su tutti, l’austriaco , Mathias Sindelaar, nella sua epoca uno dei più forti calciatori del mondo (soprannominato Cartavelina per il suo fisico esile, o Mozart del pallone per la sua arte pedatoria). Schierato in quel match , Austria-Germania, che doveva essere l’ultima partita della Nazionale di un’Austria che appena sette giorni dopo con un referendum si sarebbe detta felice di essere annessa alla Germania hitleriana, nello stadio di Vienna, il Prater allora tempio del calcio, si liberò in una esultanza assoluta allorché segnò, a pochi minuti dalla fine della partita. Era il gol decisivo e significò la disobbedienza all’accordo per un fraterno pareggio di comodo concordato dalle autorità. Era aprile, in quello stesso anno, poche settimane dopo Sindelar rifiutò la convocazione nella Nazionale della Germania per il Mondiale in terra di Francia, lasciò il calcio, fu trovato cadavere il 23 gennaio 1939, a 36 anni, nel suo alloggio di Vienna, invaso dall’ossido di carbonio di una stufa. Morta accanto a lui la sua compagna, una ebrea italiana. Sindelar aveva un nonno ebreo. Il piano diabolico di Hitler prevedeva l’eliminazione di tutti quelli che avevano anche soltanto un’ascendenza ebraica, ma per il campione era pronto un documento che lo definiva “ebreo utile alla Germania”, e che significava poter vivere serenamente in mezzo agli ariani. Forse per questo il Mozart del pallone venne probabilmente suicidato.
Per finire, un recupero, sì, il recupero morale e giornalistico (in fondo mi sento complice anch’io) di un quasi eroe sconosciuto, una specie di Bartali del calcio, di quelli che fanno le belle cose in silenzio, per modestia e non per falso pudore. Si chiamava Jorge Carrascosa detto Lobo, Lupo, quel giocatore argentino che, selezionato come titolare fisso in difesa per la Nazionale del 1978, intuendo come e quanto il regime di Videla avrebbe sfruttato una vittoria, rifiutò la chiamata del commissario tecnico Luis Cesar Menotti, rinunciò in pratica ad un probabile successo mondiale e scelse di lasciare il calcio, rinunciando ad una coppa abbastanza sicura in cambio di una sua serenità interna che in fondo oggi, qui, diffondiamo ma anche violiamo.

2 Responses to : Diario quotidiano dal Mexico

  1. assteat says:

    da Roberta Triggiani
    … son già passati 25 anni..

  2. sandra says:

    e qui danno neve…che invidia!?!

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