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Argentina, torna l’impunità per i militari degli anni ’70

09 maggio, 2017 - 08:43

Articolo di Claudio Tognonato, apparso su “Il Manifesto – Internazionale” il 5 maggio 2017

Conferenza stampa con Estela Carlotto - foto: La Presse

Conferenza stampa con Estela Carlotto – foto: La Presse

Con una sentenza che ha già suscitato diffuse proteste in tutto il paese, la Corte suprema argentina ha equiparato i delitti di lesa umanità ai crimini comuni concedendo il beneficio del cosiddetto 2 per 1. Tale misura consente di ridurre la pena considerando doppi gli anni trascorsi in prigione prima della sentenza definitiva. In questo modo molti genocidi potrebbero uscire dal carcere. La norma era stata derogata nel 2001.

LE ABUELAS de Plaza de Mayo hanno convocato d’urgenza una conferenza stampa e dichiarato insieme a Taty Almeida, di Madres di Plaza de Mayo, Horacio Verbitsky, del Centro de Estudios Legales y Sociales e altri organismi di diritti umani, il loro ripudio alla misura che potrebbe trasformarsi a breve in un’amnistia verso i militari responsabili del terrorismo di stato nell’ultima dittatura (1976-1983).

«QUESTA SENTENZA conferma il cambio di paradigma che si vive nel paese da quando si è insediato Mauricio Macri e apre alla possibilità d’incontrarsi per strada con gli assassini dei nostri genitori. Noi non lo consentiremo», ha dichiarato Carlos Pisoni, rappresentante di Hijos, i figli dei desaparecidos.
La decisione della Corte, che ha avuto il parere favorevole di 3 dei 5 membri, è stata applicata al caso di Luis Muiña condannato per il sequestro di 22 persone e torture nel campo di concentramento clandestino che funzionò nell’ospedale Posadas, nella città di Buenos Aires.
I membri in minoranza hanno argomentato che «la riduzione della pena non è applicabile ai crimini della dittatura perché si considera che il delitto sussiste in tanto non si conosca il destino dei desaparecidos e dei loro figli appropriati illegalmente».

NON È UN CASO, ha dichiarato Taty Almeida, che la sentenza arrivi dopo la dichiarazione dell’Episcopato argentino che chiede la riconciliazione nazionale. Una riconciliazione impossibile in quanto i repressori non hanno mai chiesto perdono né collaborato con la magistratura mantenendo un totale silenzio sulla fine dei desaparecidos. «Non perdoniamo, non accettiamo la riconciliazione: chiediamo giustizia».
Horacio Verbitsky ha giustamente considerato che la lentezza nei processi «non è responsabilità delle vittime ma dei giudici che non hanno agito con la dovuta premura e della stessa Corte che ha accumulato sentenze, consentendo in molti casi che gli imputati morissero senza arrivare alla condanna definitiva».

SI TRATTA di una delle sentenze più gravi nella storia della magistratura argentina, che per anni era riuscita a bloccare i processi contro i genocidi con le leggi di Obbedienza dovuta, che toglieva ogni responsabilità agli autori materiali di sequestri, torture e uccisioni, in quanto obbedivano ordini, e il Punto finale, che direttamente impediva l’apertura di nuovi processi. Ora si prevede che centinai di militari, condannati o in attesa di sentenza, presentino ricorso per rientrare nella riduzione di pena che darebbe luogo ad una tacita amnistia generalizzata.

È «UN GRAVE ERRORE» equiparare i delitti comuni con quelli di lesa umanità concedendo le stesse garanzie, ha dichiarato lo stesso ministro di Grazia e giustizia del governo Macri, noi rispettiamo la divisione dei poteri e quindi accettiamo le decisioni del massimo tribunale, ma la misura adottata dalla Corte applica «una delle peggiori inventive» in materia di politica criminale. L’incubo di un ritorno al passato serpeggia tra i familiari delle vittime, ma di incubi nella loro lunga storia, ne hanno visti tanti.

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