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ALCUNI PENSIERI ATTORNO ALLE “NUOVE” NOTIZIE SUL CASO NERUDA

12 dicembre, 2015 - 10:31

Il Ministro degli Interni cileno ha dichiarato che “è altamente probabile che Neruda sia stato assassinato”.
Non è una conferma, questa arriverà solo dopo il 16 marzo 2016, ma è un dato di forte novità.
Infatti finora nessuna dichiarazione in tal senso era stata rilasciata e anzi il precedente Governo (di centrodestra) aveva sempre sostenuto le indicazioni nella direzione contraria.
Sono passati tanti, troppi anni, perché le analisi possano facilmente fornire responsi, come nel caso di Eduardo Frei Montalva assassinato nel 1982 con più iniezioni di veleno nella medesima clinica Santa Maria dove morì Pablo.
Si arriverà ad una verità ma ci vuole tempo e il tempo smussa l’impatto mentre insinua e fa crescere “malanni”.
Io che per primo ho raccolto la dichiarazione di Manuel Araya ricordo il suo tumulto unito a quello nel mio cuore, quel 25 marzo 2009, quando l’autista di Neruda ventilò per la prima volta la sua ipotesi.
Quell’idea rimase furente nella mia testa per mesi sino a quando con Gabriele Romagnoli non ritornammo in Cile, incontrammo Manuel, e scrisse l’articolo “Scusa Don Pablo se non c’ero quando ti hanno ucciso”.
Adesso certo la nuova notizia mi arriva ancora forte e non mi lascia indifferente, ma l’impatto è stato assorbito. Inoltre questi due anni estenuanti di analisi con risultati via via contrapposti hanno fatto il gioco di annullare ogni validità o portata del responso.
Sempre e comunque mi è parsa valida la risposta che da subito mi diedero Luis Sepúlveda e diversi amici cileni, “è importante sapere, ma in ogni caso già sappiamo! Neruda è stato ucciso di golpe”.
Il “malanno” a cui facevo poc’anzi riferimento è quello invece che ha colpito Manuel l’autista.
L’ho conosciuto impaurito e tremante dopo anni di silenzio, incubi, isolamento.
Non erano le condizioni di un uomo “sano”.
L’ho ascoltato liberarsi, ho vissuto insieme a lui le quattro ore in cui tutto il veleno, il buio, il nulla in cui lo aveva costretto la dittatura e la prima fase “democratica” venivano versate fuori come un continuo conato di vomito.
L’ho visto liberarsi di quel peso di anni, che per lui erano secoli.
L’ho rivisto e incontrato diverse volte e l’ho ritrovato l’ultima, due anni fa, circondato da guardie del corpo, protetto a vista come una rockstar, ormai meno umano e molto poco accessibile.
Non fisicamente, che a me i suoi gorilla facevano un baffo, ma umanamente, ormai vittima del suo personaggio.
Rileggo l’intervista rilasciata a El País e pubblicata da La Repubblica l’11 novembre 2015 e, cosa che può fare chiunque rileggendo quella rilasciata a Romagnoli o ancor prima quella scritta da me e pubblicata nel libro “Il funerale di Neruda”, trovo molte incongruenze.
Lascio il beneficio dell’errore alla riscrittura o all’interpretazione di Winston Manrique Sabogal, il giornalista che firma l’articolo. Ma comunque, qualcosa stride. Nell’accumularsi degli avvenimenti si rafforza e trasforma la realtà anche a costo di qualche menzogna. Se questa è piccola cosa o pesante, lo diranno le analisi e la storia.

Sto leggendo un libro molto coinvolgente e ben scritto da Javier Cercas, che s’intitola “L’impostore”.
Racconta la vicenda di Enric Marco, un novantenne di Barcellona che ha presieduto l’associazione spagnola dei sopravvissuti ai campi di sterminio nazisti. Insignito di diversi riconoscimenti per il coraggio dimostrato è stato smascherato nel 2005 da uno storico che ha rivelato come non fosse mai stato internato.
Cercas così lo descrive “Marco ha l’abilità di condurre alla menzogna attraverso la verità e non viceversa. Mentre combatte a spada tratta con la sua menzogna per rivendicare la verità della medesima, combatte per rivendicare se stesso come vittima, combatte per imporre la menzogna sulla verità. Combatte per se stesso.”

La sua verità è impastata con un sacco di bugie.
Quella sfilza di bugie è naturalmente impastata con la verità.

Enric Marco è come Don Chischiotte. Entrambi sono due grandi bugiardi che “non si accontentano del grigiore della loro vita reale così s’inventano e vivono un’eroica vita fittizia”.

La finzione lo ha salvato. Per molti anni gli ha impedito di riconoscersi per quello che era. Perché in casi estremi la finzione salva mentre la realtà uccide. Così il passato a volte salva, a volte uccide.
Per occultare la sua realtà, per occultarsi a se stesso, si reinventò molte volte.
Ogni giorno cerca dov’è la notizia, perché ha iniziato a sviluppare un talento supremo per comparire nelle foto. Una sindrome narcisistica lo perseguiterà tutta la vita.
Potrebbe chiamarsi dipendenza dal comparire sui mezzi di comunicazione. Potrebbe chiamarsi mediopatia.

Tutto questo accade in Spagna quando più che la memoria trionfava l’industria della memoria, e la gente desiderava ascoltare anche le bugie che quel campione di memoria sapeva raccontare.
Furono i mezzi di comunicazione, soprattutto in Catalogna, ma non soltanto, a trasformare definitivamente Marco in una rockstar, in un campione della memoria storica, un vero e proprio eroe civile.
L’incarnazione di tutte le verità di un paese che grazie a lui, recuperava finalmente la memoria dell’antifranchismo, dell’antifascismo che la democrazia spagnola aveva smarrito.

Forse per anni la finzione ha salvato la Spagna così come per anni ha salvato Marco e Don Chisciotte però alla fine soltanto la realtà può salvare come alla fine la realtà ha salvato Don Chisciotte restituendolo ad Alonso Quijano.
L’industria della memoria è risultata la vera sconfitta e in quanto tale letale per la memoria.

Il passato non passa mai e, come ha detto William Faulkner, non è nemmeno passato ma soltanto una dimensione nel presente.
Il passato non lo si lascia alle spalle o per lo più è molto difficile lasciarselo.

Manuel Araya non è un impostore, è un uomo che ha bisogno di una verità, può darsi ci conduca ad intercettare la realtà della morte di Neruda o semplicemente a partecipare alla costruzione della sua risposta al proprio fallimento. Come guardia del corpo è sopravvissuto al suo protetto, il Poeta è deceduto nel giorno del suo arresto.
Gli anni trascorsi hanno cercato quella risposta. Gli avvenimenti succedutisi hanno creato il sospetto che potesse essere diversa del referto medico.
Le recenti dichiarazioni di appartenenti o “frequentatori” dell’intelligence americana dell’epoca accentuano i sospetti.
Ma Manuel in questi anni di esposizione, dopo tanto buio e silenzio, si è perso e come Eric Marco cerca un apparire congeniale ai tempi, e molto meno alla ricerca della verità. Si scorda addirittura che il primo ad attraversare un oceano per scrivere di lui è stato Romagnoli e data la prima intervista al 2011 attraverso un giornalista messicano.

Neruda è morto di golpe ma, come ho potuto verificare a settembre nel mio ultimo passaggio in Cile, la sua presenza come poeta, pensiero, simbolo politico, rimane ben viva oltre ogni analisi.

Inoltre come si può verificare dal video inserito in questo sito che da voce ai giovani studenti di Rancagua, come esiste e resiste un Cile vincolato e avvolto nelle ombre del passato, ce n’è uno ancora vergine che vibra di nuovi sogni ed ideali vivi e quel che è più bello, sorridenti.

Renzo Sicco

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