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Al caffè con Pessoa

31 marzo, 2016 - 16:28

La Brasileira do Chiado, uno dei più illustri caffè letterari di Lisbona, si trova nel cuore della città, nel quartiere ricostruito con criteri illuministici dal marchese di Pombal dopo il terremoto che nel 1755 distrusse Lisbona. E davanti al caffè, praticamente in mezzo ai tavoli della terrazza, da qualche anno è collocata la statua in bronzo del poeta che della Brasileira fu un affezionato habitué: Fernando Pessoa. È piuttosto raro che in una stessa città le statue di due poeti si trovino a pochi metri l’una dall’altra. Succede a Lisbona, e si può interpretare come un ottimo segno. L’elegante piazzetta dello Chiado, dove si trova la Brasileira, è infatti dedicata al poeta cinquecentesco António Ribeiro Chiado, la cui piccola statua, anch’essa in bronzo, lo raffigura con una smorfia di scherno sul volto, come di scherno fu la sua poesia. Il Portogallo ha una lunga tradizione di poesia irriverente e satirica, fin dai trovatori medievali, ed è un genere poetico che gode di alta considerazione, come in ogni paese civile, perché si sa che senza la satira ogni monarca (o figura analoga) sarebbe un monarca assoluto, un tiranno.

A pochi metri da quel volto beffardo c’è il volto indecifrabile di Fernando Pessoa con un sorriso ironico sulle labbra. Lo scultore Lagoa Henriques lo ha scolpito come se fosse davvero al caffè, seduto su una seggiola e con la gamba posata a sette sull’altra (una posizione disinvolta che stona con il personaggio). L’ironia è spesso palese nei suoi versi, ma forse è il suo pensiero che è ironico, dotato cioè di quella «coscienza ironica», per usare le parole di un filosofo francese, che lo fece pensare che noi siamo Uno, Nessuno e Centomila e che gli permise di creare la sua commedia umana in poesia. Così si inventò un nugolo di poeti e di scrittori, i suoi eteronimi. Álvaro de Campos, ingegnere navale laureatosi a Glasgow, dandy disoccupato a Lisbona, fu dapprima futurista per gioco poi autore di odi sensuali e furibonde poi ancora amaro pessimista lettore di Pascal e di Nietzsche e infine nichilista senza appello. Ricardo Reis, classicheggiante e pagano, una sorta di Omar Khayyám novecentesco, cantò la futilità della vita e la necessità dello stoicismo («siediti al sole, abdica / e sii re di te stesso», dice un suo verso). Alberto Caeiro, considerato il maestro di tutti gli altri, impassibile osservatore del reale, fu un poeta-filosofo che adoperò la fenomenologia per parlare del mistero delle cose. Di se stesso scrisse: «Se dopo la mia morte qualcuno volesse scrivere la mia biografia, bastano due date, quella della mia nascita e quella della mia morte: fra l’una e l’altra tutti i giorni sono miei». E poi Bernardo Soares, che viveva in una delle mansarde che si vedono dalla Brasileira, modesto commesso di un negozio di tessuti, autore del Libro dell’inquietudine, un diario fatto di prose impressioniste, di descrizioni di Lisbona, di vagheggiamenti, di sogni, di viaggi mai fatti. E il filosofo António Mora, autore di un trattatello sul ritorno degli dèi, e il Barone di Teive, pensatore di discendenza leopardiana, e il poeta inglese Alexander Search e infine il Pessoa Ortonimo, cioè colui che si firmava Fernando Pessoa (ma era proprio lui o un altro?). Insomma, un’intera letteratura, un’opera sterminata che da sola riempirebbe un secolo.

Ma Pessoa oltre ai poeti a cui dette vita, ebbe una sua vita: amori, dissapori, felicità, entusiasmi. Di pensiero aristocratico e conservatore, odiò però i totalitarismi comunisti e fascisti, ebbe in uggia il salazarismo e Salazar, che sbeffeggiò in poesie all’epoca ovviamente impubblicabili e edite solo recentemente. Creò movimenti e riviste letterarie. Visse per lo più in modeste camere d’affitto fin quando, nel 1920, ebbe una stanza tutta per sé nella casa di rua Coelho da Rocha (oggi casa-museo), che aveva cercato per la famiglia rientrata dal Sudafrica. Fu al caffè della Brasileira do Chiado, dove andava ogni pomeriggio, che con i suoi compagni fondò la rivista “Orpheu” e i grandi movimenti d’avanguardia della sua epoca.

La Brasileira ha mantenuto praticamente la decorazione originaria: i tavoli, gli specchi, alcuni quadri. Il caffè espresso all’italiana è di ottima qualità, e prenderlo a un tavolo della terrazza, in compagnia di quel signore dal sorriso ineffabile, non capita tutti i giorni.

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