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Assemblea Teatro, con la quale ho collaborato da anni e che da anni mi ha portato a vedere altri altrove, parla altre lingue che alle volte il teatro non conosce, la definirei più un incentivo spettacolare alla deambulazione dei teatri, una instatica carovana delle menti, la rappresentazione delle rappresentazioni. Siccome ha la forma del non smettere, mi fà venire in mente la mente, il tour che fà la testa quando gira per pensare, mi fa venire in mente il corpo del corpo, le facce delle facce, ma siccome non mi basta e non si basta, la definirei “incontinuazione”.
Chi non la conosce non può capire, mi vien da dire che non c’e’ niente da capire, ma solo da sapere. Assemblea Teatro sa farci sapere, solo questo può farci capire.

Alessandro Bergonzoni 

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Quarant’anni di attività culturale occupandoci di teatro ma anche di musica, di arte plastica, di fotografia, di ambiente, di diritti umani e di letteratura, realizzando eventi insoliti e abitando spazi insusuali allo spettacolo.

Renzo Sicco
(Direttore Artistico)

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Muri e pennelli

A quasi quarant’anni di distanza si può guardare un sito in maniera un po’ insolita…non un contenitore da riempire, ma un MURO da colorare, su cui attaccare i manifesti degli appuntamenti, le cartoline delle serate più importanti, i racconti ed i disegni del lavoro fatto con i compagni di strada.
Insomma, un muro su cui scrivere le giornate, presentare il mondo, non solo quello che ci sta sotto il naso, ma anche quello lontano non solo geograficamente ma anche temporalmente, con le sue urgenze ed il suo coraggio.
Abbandonati il secchio e la vernice, la colla ed il nastro per la carta, non resta oggi che cliccare.
Pagine virtuali come occasione per pensare, forse per far riflettere, per invitare.

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Il muro

Quarant’anni fa con una scritta tracciata su di un muro, nacque Assemblea Teatro.
La scritta era un atto teatrale ed era al tempo stesso un grido e una dichiarazione.
Assemblea era la chiamata e chiamava al teatro.
Era il ’67, tempo di assemblee operaie e studentesche.
Il ’68 era alle porte, la società in fermento, il teatro un luogo possibile dove raccogliere, rappresentare, espandere quel fermento.
La scritta non fu realizzata con lo spry, come fanno gli odierni writers, ma con secchio e pennello e relative colate di sbavatura.
Di scritte, murales e graffiti da quegli anni ne sono stati realizzati chilometri, a migliaia, alcuni sono diventati oggetti d’arte, altri sono stati raccolti nei libri dedicati ad ogni genere di scritte incluse quelle lasciate sulle porte dei bagni delle stazioni di servizio.
Molte sono state cancellate, ricoperte da nuovi intonaci, altre abbattute nel corso dei mutamenti urbanistici di questi tempi.
Con sorpresa e gioia ho saputo che la scritta primordiale di Assemblea Teatro tracciata da Vincenzo Gioanola è ancora visibile, scrostata dal tempo si, ma visibile nei pressi di via Don Bosco a Torino. Passerò a fotografarla!
Mi piacciono, mi sono sempre piaciute le scritte sui muri, rompono il grigio del quotidiano e a volte sono veri e propri squarci nelle giornate di nebbia della mente. Sono anche un segno dei tempi, della loro ricchezza e fantasia in certe fasi, della loro povertà e miseria in altre.
Viaggiando mi piacciono molto anche le pubblicità che in Italia snobbo infastidito. In giro per il mondo le guardo curioso come uno dei tanti parametri utili per capire il luogo in cui sto passando.
E’ un uso strano dell’occhio comparabile solo ad un’altra analoga stranezza che mi porto addosso come abitudine. In casa consumo solo acqua rigidamente naturale mentre nei ristoranti la ordino e consumo solo frizzante. Sempre acqua è ma in due territori, due habitat diversi.
Mentre penso a tutto questo il taxi su cui sto viaggiando nel centro di Barcelona si ferma ad un semaforo di fianco ad una fermata degli autobus. Un cartello pubblicitario recita “Bienvingut a la Republica Indipendenta de Casa Teva” il tutto firmato Ikea. Mi diverte l’idea che nordici svedesi sappiano infilarsi nelle maglie del catalanismo per trarne benefici commerciali.
Poco più avanti un’insegna segnala “compraventa antiguedad” ancora mobili ma con un altro senso del tempo e della memoria.
In Plaza de Cataluña troneggia un gigantesco cartello “Vitalicios seguros” ovvero una pensione è per sempre, un po’ come i diamanti? O nel senso che una sola sarà e vi dovrete accontentare? Tutta questa grande pubblicità così invasiva, così imponente mi porta alla mente i giganteschi manifesti di Buenos Aires che invitavano ad ogni tipo di consumo un paese sull’orlo del baratro. Anzi lo aiutavano a precipitare nel baratro indebitandone i cittadini in maniera devastante, mentre nessuna pubblicità progresso indicava che il progresso era terminato da tempo e il paese era destinato alla più grande debacle economica di inizio secolo. Contro quella logica che dimenticava volutamente ogni giustizia, gli Hijos, i figli dei quei desaparecidos che desideravano nel mezzo degli anni ’70 un’altra Argentina, meno commerciale ma più equa e più giusta, proseguivano la loro personale ricerca di giustizia denunciando sui muri uno ad uno gli assassini dei loro padri scrivendone i nomi e lo facevano come ai tempi della prima scritta di Assemblea Teatro, con secchi e vernice, molto più economica e praticabile dei troppo cari spry di importazione.
Ripenso anche al silenzio di Cuba dove non c’è pubblicità giacché l’embargo impedisce l’arrivo di ogni bene e dunque nulla è in vendita. Ed è davvero silenzio, ma è piuttosto un silenzio che lascia spazio ad altre voci, ad altri suoni e infatti l’isola è tutta un canto, un rimo e un battito delle parole che sgorgano come fonte ininterrotta.
Torno a Torino dopo i bagordi del periodo olimpico dove la presenza assoluta della cartellonistica promossa dagli sponsor ha provvidenzialmente oscurato la volgarità della campagna elettorale adesso libera. Così da un altro taxi leggo “Avanti al centro restando a destra” e penso alla natura ondivaga e tasformista dei politici e dei pubblicitari nostrani. Mi consolo pensando che siamo la terra che ha dato i natali ad Arturo Brachetti, uno che il trasformista lo sa fare davvero al cento per cento mantenendo viva la sorpresa e il gusto del gioco e diversamente da tutti merita applausi.

30 marzo 2006
Renzo Sicco
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Scrivere sui muri è illegale. Ed è illegale intendiamoci per qualunque amministrazione. Tanto per quella democristiana, che queste cose le reprimeva o le tollerava, senza mai comunque comprenderle, quanto per quella di sinistra che, comprendendole, tende a inquadrarle e a regolamentarle, negando così quegli stessi valori che vi riconosce. In Comune è stato aperto l’ “ufficio approvazione bozzetti”: ma l’unico bozzetto buono è quello vietato. “Non mi piace scrivere sui muri” era scritto su un muro durante il maggio francese. Non tocca a noi decorare, o mascherare, i ghetti della città industriale neanche con, l’amministrazione di sinistra. A noi tocca distruggere i ghetti. Per questo scriviamo sui muri. E per questo scrivere sui muri è illegale. Il nostro modo di scrivere è grezzo, tempestivo, veloce, timoroso dell’arrivo della polizia. Scrivere sui muri non è bello, e nessun assessore potrà mai approvarne lo stile, e soprattutto ciò che quello stile significa: rivolta, lotta, organizzazione.
“Anche urlare contro l’ingiustizia rende roca la voce” diceva Bertolt Brecht. E per scrivere su un muro occorre essere indignati. L’indignazione è violenta, eversiva. E la violenza eversiva è reato. Scrivere sotto una scritta murale significa scrivere della violenza e dell’illegalità. Scrivere sui muri assemblea significa convocare: alla partecipazione, alla lotta, all’organizzazione. Convocare, insomma, alla trasformazione. Scrivere sui muri assemblea è cosa che si fa comunemente da alcuni anni a questa parte, e tutti sanno quel che significa, e non è il caso di riparlarne in un libro di teatro.
Scrivere sui muri teatro, invece, è cosa che comunemente non si fa. Non la fanno i militanti che convocano soltanto le assemblee, né i teatranti che al teatro convocano in altro modo, con inviti, biglietti, annunci sul giornale. Scrivere sui muri teatro significa convocare al teatro nello stesso modo in cui si convoca all’assemblea, convocare a un teatro che ha lo stesso scopo e lo stesso meccanismo di partecipazione di un’assemblea. Scrivere sui muri assemblea teatro significa acquisire l’analogia. Acquisirla nel linguaggio, che è quello della scritta murale, acquisirla nel metodo, che è quello dialettico, del confronto, della crescita, del mutamento, acquisirla nella finalità, che è politica, organizzativa e operativa, acquisirla nella struttura interna del gruppo, che è militante, aperta, a sua volta assembleare, polivalente, disponibile agli apporti più disparati, acquisirla infine negli spazi operativi e di spettacolo, che sono la strada e il laboratorio.”