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“Rais” alla Stireria a Vapore

28 marzo, 2021 - 00:11

Questa sera, 27 marzo, è andato, in diretta, ospitato in anteprima dal sito internet ufficiale e dalla pagina Facebook della Città di Collegno, lo spettacolo “Rais” prodotto da Assemblea Teatro

 

RAIS

da “L’ultima notte del Rais” di Yasmina Khadra (Sellerio)

riduzione per la scena di Renzo Sicco

interpretato da Sax Nicosia

musicisti sulla scena Roberto Leardi (batteria)

e Vito Miccolis (percussioni)

regia di Giovanni Boni

riprese e montaggio video Renato Di Gaetano

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Dieci anni fa moriva, ucciso dal medesimo popolo libico, Muhammar Gheddafi.

Era stato un militare, un rivoluzionario, un politico e un dittatore, un despota. Per 42 anni fu la massima autorità della Libia e nel 2011 l’esplosione delle “Primavere arabe” liberò tutta la rabbia che molti libici avevano accumulato contro di lui.

I leader internazionali ne approfittarono per disfarsene e il 20 ottobre, a Sirte, il Rais venne brutalizzato e ucciso.

Le potenze internazionali pensarono di essersi liberate di un peso e di potersi dividere le ricchezze del Paese. Non sapevano che avrebbero invece innestato una spaventosa miccia esplosiva rendendo la Libia una polveriera a cielo aperto.

Ecco perché, ancora oggi, è utile e necessario rileggere quella storia attraverso le sagge parole di Yasmina Khadra, autore del testo, ridotto per la scena da Renzo Sicco, nell’ottima interpretazione di Sax Nicosia.

Lo spettacolo è stato registrato nel suggestivo spazio, ancora diroccato e fatiscente, della Stireria a Vapore nell’ex ospedale psichiatrico di Collegno, prima dei lavori di ristrutturazione tuttora in corso per un riutilizzo dello spazio in via di definizione.

Rais 2021-2a

L’ultima notte del Rais è incentrato attorno alla figura di Gheddafi. Affronta una realtà contemporanea bruciante e controversa, quella di un personaggio shakespeariano. Re Lear è Gheddafi, in carne ed ossa, non c’è bisogno di inventarlo né di affidarsi alle esagerazioni della finzione.

Il Rais è un personaggio complesso, che incarna molti ruoli contemporaneamente: è un megalomane, un idealista, un dittatore, un riformatore. Si vedrà cosa rimarrà di lui nei libri di storia: il beduino indomabile oppure il tiranno visionario? In ogni caso, è un paradosso vivente. Gheddafi mai pensa di fare il male, è sempre certo di agire per il bene della nazione e per garantire la sua longevità politica.

Nulla giustifica le atrocità di un uomo che, paranoico, capace di perdere il contatto con la realtà, si lascia andare a impulsi incontrollabili. Anche in fuga, non si rende conto che la sua storia è finita, non riesce a crederlo, pensa di essere sprofondato in un incubo da cui prima o poi si sveglierà; spera in un miracolo perché non può immaginare che il suo destino possa finire in quel modo. Continua a credere di aver operato per il bene del suo popolo, che però sta per assassinarlo.

Ogni individuo è quello che gli altri vedono in lui. Un personaggio è sempre fatto della sua realtà e delle voci che lo circondano. Le dicerie e le leggende contribuiscono a costruire la sua immagine pubblica.

Gheddafi in fondo è stato anche ingenuo. Come tutti coloro che si credono al centro di una profezia, pensava di essere un eletto. Come uomo politico, sapeva che il suo era un Paese molto ricco, capace di scatenare enormi appetiti. Ha quindi cercato di giocare con l’ingordigia degli altri. Non è stato ucciso perché fosse un tiranno, in fondo lo era da quarant’anni e nessuno aveva mai provato ad eliminarlo veramente, al massimo avevano cercato di spaventarlo. È stato eliminato perché ha voluto tenere per sé le ricchezze del Paese, e non ha mantenuto le promesse fatte. Così gli hanno fatto pagare il conto. Prima, malgrado il terrorismo e la sua politica destabilizzante, lo avevano riabilitato, perdonato e accolto con tutti gli onori nelle capitali. Quando hanno scoperto che non era intenzionato a dare quanto promesso, si sono vendicati.

Alla sua morte il Paese è sprofondato nel baratro.

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La Libia ha sempre avuto una struttura tribale e Gheddafi era l’unico collante che la tenesse insieme. Tra le tribù c’erano rancori secolari con una storia di guerre fratricide, vendette e razzie. Il Rais era riuscito a riunirle e farne una nazione omogenea. Aveva saputo creare un ideale nazionale, ma le divisioni non erano mai del tutto scomparse. Il Paese taceva perché messo sotto una camicia di forza che reprimeva qualsiasi forma di contestazione. Quando il Rais ha perso il potere ed è stato ucciso, le vecchie tensioni sono riesplose e alcune tribù hanno rivendicato la loro autonomia.

In preda al caos, la Libia ha finito per essere occupata dalle milizie e dagli islamisti.

Quando si tratta di interrogarsi sulla pancia della questione libica, Mohammed Moulessehoul, noto col nome d’arte di Yamina Khadra, è uno dei più lucidi commentatori.

Ha vissuto in Algeria, all’interno dell’esercito e dell’intelligence, gli anni bui del territorio nordafricano quando, come oggi, la scelta era tra la mattanza islamista o il pugno di ferro, costi quel che costi.

Ciò che è accaduto il 20 ottobre 2011 a Sirte è motivo per una riflessione non solo sulla morte “inattesa” del dittatore, ma su tutta la sua vita e sulla vicenda libica.

“L’ultima notte del Rais” è un testo crudo ed estremamente analitico sull’avventura di Gheddafi nello scenario mediorientale e internazionale. La sua scomparsa è una eredità scomoda per l’Occidente e, se qualcuno non l’avesse afferrato, questi 10 anni ce lo dimostrano quotidianamente.

Renzo Sicco

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